La strana estate che abbiamo alle spalle almeno un pregio lo ha avuto: dare delle occasioni di visibilità sui palchi dei festival jazz nostrani a musicisti che normalmente ne hanno poca. Ovviamente parliamo di manifestazioni che già costituzionalmente manifestavano una certa sensibilità nella ricerca di voci ‘fuori dal coro’.
Empoli Jazz è uno di questi. Già un paio d’anni fa avevo fatto una scappata lì per ascoltare il bel gruppo di Charles Lloyd (quello di ‘Lucinda’, per intenderci). E’ bastata un’occhiata al programma di quest’anno per decidere un’altra trasferta per la serata del 6 agosto, che offriva l’opportunità di due ascolti molto intriganti nella stessa serata: il quintetto del quasi debuttante Michelangelo Scandroglio ed il piano solo di Simone Quatrana.
Simone, classe 1984, è tutt’altro che un debuttante, in altri paesi a 36 anni si comincia a lambire la maturità, con tutti onori ed oneri connessi: nella gerontocratica Italia non è così, e purtroppo anche il nostro mondo del jazz non ha la forza di rappresentare un’eccezione culturale, facendo così lampante violenza al proprio DNA. Il percorso formativo del nostro pianista è particolare: annovera sì passaggi brillantemente superati in ambito accademico, ma anche coraggiose (perché rischiose alle nostre latitudini) deviazioni verso ampie fasi di ricerca da autodidatta. In una più recente fase di perfezionamento presso la Scuola Civica di Musica di Milano ed il suo milieu jazzistico, Quatrana ha incrociato la sua strada con Franco d’Andrea, con cui si è diplomato. Esperienze ed incontro che segnano profondamente e con evidenza la sua musica.

Ho ascoltato Quatrana a solo anche in altre occasioni, spesso però in contesti poco adatti alla sua musica. Il raccolto giardino ai piedi del Torrione di S.Brigida invece si è rivelato un ambiente ideale, che ha compensato la brevità del set, durato poco più di mezz’ora. Ma sono stati trenta minuti in cui sono corse idee che ad altri sarebbero bastate per 90 è più…. È già qui si tocca con mano la spiccata originalità di questo musicista rispetto all’attuale scena italiana, concentrazione ed intensità sono (rare) cifre distintive del jazzman di razza.
Il pianismo del nostro spazia con agilità e sicurezza tra i registri estremi della tastiera, generando forti contrasti dinamici e timbrici, chiaroscuri impressionanti che imprimono alla musica una incessante tensione, che si accompagna ad una grande densità di fraseggio e di sviluppo del discorso musicale. Ma questa non si traduce in studiata congestione e saturazione sonora: i contrasti così netti ed accentuati contribuiscono ad una grande nitidezza ed esattezza del disegno strutturale che guida l’ascoltatore in una musica di indubbia, ma scorrevole complessità. Sembra di vedere un disegno tecnico, anche nel suo proiettarsi verso un compiuto risultato estetico ed espressivo. Mi sbaglierò, ma questa lucida ‘clartè’ mi sembra aver parecchio a che vedere con la frequentazione di Franco d’Andrea, che potrebbe aver trovato un erede legittimo (per nostra fortuna).
Il pianismo a tutto campo di Quatrana sfrutta ogni possibile risorsa sonora dello strumento, anche in via non convenzionale come con la sollecitazione e manipolazione diretta della cordiera: di fronte a simili ‘approcci in profondità’ allo strumento viene da chiedersi se sia poi così essenziale ed imprenscindibile il grande affaccendarsi che si fa oggi intorno ad elettroniche spesso indocili e poco affidabili, e che comunque spesso introducono una sorta di ‘fatica dell’esecuzione’ che va a tutto scapito della dimensione espressiva e creativa.
Qualcuno potrà osservare che di musica di ricerca ne circola ancora parecchia, e che spesso non giunge ad esiti né estetici né espressivi compiuti, rimanendo programmaticamente sospesa in una dimensione di perenne ed incompiuta elaborazione. Non è il caso del nostro pianista, che conduce sempre le intense e travagliate fasi di elaborazione ad un momento di risoluzione finale in cui in squarci luminosi emergono come inaspettate epifanie i temi di alcuni celebri standards moderni, tra cui spicca un intenso ‘You don’t know what love is”. L’asciutta essenzialità di queste riletture le fa apparire come i tersi cristalli prodotti dalle telluriche pressioni precedenti. Il pensiero corre inevitabilmente ad a simili sublimazioni alchemiche cui Lennie Tristano sottoponeva evergreen battutissimi, trasformandoli in oggetti esoterici sottilmente inquietanti.
A questo punto spero che ce ne sia d’avanzo per spingervi a far conoscenza con questo musicista, non senza avvertirvi che occorrerà un po’ di tenacia e di determinazione: sono molto poche le sue registrazioni, brani delle quali possono esser reperite sia su un canale YouTube a lui dedicato, sia sulla sua pagina Bandcamp . Molto utili per illuminare la sua personalità sono le sue partecipazioni all’Insight Trio di Francesco Chiapperini, che, virus permettendo, ascolteremo il 28 ottobre a Milano nell’ambito di JazzMi 2020. Sarete senz’altro ripagati dalla scoperta che dietro coltri di ovvietà risaputa, la nostra scena nasconde ancora ancora delle scoperte sorprendenti. Milton56
Con buona pace di parecchi, gli standards, soprattutto quelli di gran firma come questo, sono la pietra di paragone dello Stile. Quando c’è, il risultato è questo…..
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