La fervida creatività di Zorn ha prodotto una discografia monumentale e, di conseguenza, anche un numero di formazioni impiegate davvero cospicuo. Ciò nonostante si può affermare che il progetto centrale di tutta la produzione zorniana sia senza dubbio il Masada Quartet, che dal 1994 e per più di 10 anni ha registrato 18 album nella formazione classica più almeno una quindicina in diverse combinazioni e variazioni di formazione, per non parlare dei bootleg che meriterebbero un discorso a parte.
Masada ha avuto più suddivisioni, diverse formazioni con proposte interpretative ed espressive sempre rinnovate. E quando il progetto sembrava già essersi lasciato alle spalle i tempi più brillanti e creativi, ecco che nel 2018 è apparso in concerto dal vivo il New Masada Quartet . Si possono trovare infatti diversi bootleg reperibili in rete della nuova veste del Masada Quartet, ma per un album ufficiale si è dovuto aspettare la fine di questo tribolato 2021.
La storia del progetto Masada è nota: nel 1993, cercando le possibilità di un dialogo tra le sue radici ebraiche e il jazz più libero, Zorn iniziò a produrre una serie di composizioni e formò un nuovo quartetto, Masada, con Dave Douglas (tromba), Joey Baron (batteria) e Greg Cohen (basso). La realizzazione di queste composizioni è proseguita per i successivi 25 anni, terminando nel 2018 con un totale di 613 pezzi, lo stesso numero dei comandamenti (“mitzvoth”) che si trovano nella Torah.
Questa mole di musica scritta ha formato il Masada Songbook, diviso in tre parti: “Book One”, con 205 temi; “Book of Angels”, con 316 pezzi; e “The Book Beriah”, con 92. Il “classic quartet” è l’interprete più noto del songbook (in particolare, “Book One”), ma il materiale è stato esplorato anche da altri gruppi, come il sestetto Electric Masada , il Masada String Trio, Bar Kohba, Masada Quintet, oltre a molte registrazioni individuali di vari artisti.
Per uno di quegli eventi che oggi potrebbero essere visti come una felice combinazione, Zorn ha portato in tour nell’ottobre 2019 per una serie di concerto negli Stati Uniti proprio il New Masada Quartet, con Julian Lage (chitarra elettrica), Kenny Wollesen (batteria) e Jorge Roeder (basso acustico). All’epoca, in una intervista, Zorn parlò di come nacque il nuovo quartetto: “Julian Lage ha suonato per una settimana al The Stone l’anno scorso [2018], e una sera mi ha chiesto di unirmi come ospite del suo trio. Ho preso alcuni pezzi da Masada e quando abbiamo suonato mi sono sentito subito a mio agio e ispirato. Julian e Jorge sono cresciuti ascoltando questi brani, quindi tutto ciò è nel loro DNA musicale. Non mi sono mai sentito così a mio agio in un gruppo. Quando ho scritto per la prima volta musica per Masada nel 1993, la mia idea era di avere una band con chitarra, basso e batteria, ma la magia del quartetto classico ha preso il sopravvento. 25 anni dopo, con Julian, Jorge e Kenny, sembra così vero e attuale riprendere l’idea originale del progetto”.

Nonostante il clamore mediatico causato dalla nascita di questo nuovo gruppo, in realtà le occasioni per vederlo dal vivo sono mancate finora. A parte le diverse presentazioni che si sono succedute al Village Vanguard (NYC), i concerti del 2020 in Europa, in festival in paesi come la Spagna e la Norvegia, sono stati cancellati a causa della pandemia. E il programma del tour riprenderà solo nell’estate del 2022, sempre che il Covid non interferisca. In altre parole, a parte i bootleg occasionali che circolano, il New Masada Quartet è davvero qualcosa di nuovo sia per i festival che per gli appassionati, rimasti in trepida attesa per l’album di debutto del gruppo, finalmente rilasciato ora.
Il quartetto è entrato in studio l’8 giugno 2021 presso lo studio di Bill Laswell nel New Jersey. Ed è da lì che è venuto il materiale per questa pubblicazione. Sono otto tracce, per un totale di 53 minuti . I temi scelti sono stati presi per metà da “Book One” (Hath Arob, Sansanah, Kedushah e Piram) e per l’altra metà da “The Book of Angels” (Tharsis, Rigal, Mibi e Tagriel), in un’entusiasmante combinazione che offre diverse prospettive del suono sviluppato dal nuovo quartetto. Per chi teme che si tratti solo di una nuova versione con una strumentazione un po’ diversa da quella del quartetto classico (con lo scambio di tromba per chitarra), la scelta del repertorio, oltre alle musiche sviluppate, si rivela abbastanza fresca, con un’impronta unica.
Se l’unità del quartetto è essenziale per il brillante risultato, i ruoli centrali occupati da Zorn e Lage sono indiscutibili. Il sassofonista comanda il gruppo, ma c’è una libertà intrinseca in questa musica, che la permea di ariosità. Lage è l’ultimo in ordine cronologico grande partner di Zorn. Praticamente con la metà dei suoi anni (33 anni del chitarrista contro 68 del sassofonista), porta un’esperienza musicale diversa, che contribuisce molto a dare freschezza e spaziosità al repertorio di Zorn, dimostrando tra l’altro di conoscerlo molto bene.
“Tharsis” apre l’album con la chitarra che incrocia il basso danzante di Roeder e il sax alto del leader che distilla il tema principale e rimane al centro per almeno metà del pezzo, fino all’ingresso dell’assolo di Lage. L’eccitazione di Zorn è sensata; possiamo persino sentirlo strillare qua e là, contagiando inevitabilmente gli ascoltatori. Successivamente, il tono cambia. “Rigal” si apre con un’introduzione di chitarra e presto si apre alla sua melodia malinconica, sorprendente, con un lirismo doloroso cantato dal sax (che riprende il ruolo del violino nella toccante versione precedentemente registrata da Mark Feldman e Sylvie Courvoisier).

C’è un altro sbalzo d’umore con l’arrivo di “Hath Arob”. Eccezionale brano dal canzoniere di Masada, è stato registrato in più di un’occasione sia dal “quartetto classico” così come da Electric Masada, e funziona come un ponte tra la contemporaneità di Masada e i suoi giorni eroici degli anni 90. Il pezzo è rinvigorito dalla chitarra e da uno Zorn che mostra che può ancora essere intensamente tagliente e abrasivo. Il mood si mantiene inalterato nella quarta traccia, quando emerge un altro pezzo conosciutissimo: la bellissima “Sansanah”. Il pezzo è apparso per la prima volta in “Beit”, secondo disco in studio di Masada, uscito nel 1994.
Con i suoi assoli di sax spigolosi e scintillanti, Sansanah concilia la perfetta corrispondenza tra il melodismo di matrice ebraica e il bagliore libero ed energico del jazz, in alcuni dei momenti più forti dell’album. Il leggero “Mibi”, con i suoi attacchi per doppio sax e chitarra, scandito da rapidi andamenti e assoli più veloci di Zorn, eleva l’energia al massimo, prima di rallentare per un respiro con “Kedushah”, più lirica e profondamente contemplativa, scandita all’inizio dal toccante solo di Lage (supportato da una vigorosa esplorazione percussiva di Wollesen), che ci porta al tema canticchiato dal sax.
“Tagriel” alza di nuovo il tono, aprendosi subito con un il sax urlante del leader. Questo pezzo è apparso per la prima volta nell’album “Stolas”, firmato da Masada Quintet, circa un decennio fa, che presentava una formazione interessante: Dave Douglas, Baron e Cohen, dalla formazione originale, accompagnati da Uri Caine e dal sassofonista Joe Lovano. Zorn non aveva mai registrato questo pezzo ed è davvero emozionante ascoltarlo da lui. Con la suo melodia estremamente memorizzabile, Tagriel è una composizione che penetra immediatamente. “Piram” è uno dei brani più eseguiti del Masada Songbook, ma che qui finisce per funzionare come una sorta di epilogo, durando poco più di un minuto, come se lasciasse l’ascoltatore all’erta e anticipasse il prossimo episodio che si spera non si farà aspettare troppo a lungo.
Con energia equilibrata, interazione telepatica e soluzioni armoniche ed espressive fantasiose, il New Masada Quartet fa di questo album di debutto uno dei capitoli fondamentali della lunga storia del progetto Masada. Tra i miei album preferiti dell’anno.
Thanks to Fabricio Vieira
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