Anche TdJ vuole, a suo modo, tirare le fila di un anno d’ascolti jazz. Nelle passate edizioni avevamo lanciato i nostri “best(of)ioni” in singoli pezzi, quest’anno invece, dopo ampie discussioni che han coinvolto probiviri e maestranze, s’è deciso d’accorpare in due articoli le nostre “impressions” su di un anno che ad occhio & croce non passerà alla storia in quanto a produzioni jazzistiche, ma se è per quello non si notano grandi slanci nemmeno nelle arti limitrofe, a parte forse la virologia, che speriamo evochi presto soltanto un ricordo delle attuali onnipresenti stars, e la cucina.
Ecco, ormai cucinare un uovo in pompa magna e con lacerazioni psicologiche e/o derive mistiche irrefrenabili pare essere l’unica forma d’arte degna di nota, non basta più mugugnare al contrabbasso, forse occorrerebbe arrivare ad un vero e proprio jazz cookin’ per veder tornare l’interesse dei “media” alla musica che amiamo. “Vijaj Iver? Si bravino, ma quel pollo tandoori gli è venuto speziato” “Ah, lo digerisco tra tre giorni.” ecc.
I Quattro Menu che vi proponiamo in doppia somministrazione non sono di magro e digiuno, sono piuttosto diversi tra loro, alcuni leggeri, altri ipocalorici, ma riflettono le sensibilità di chi li ha compilati col cuore in mano (quindi col polsino completamente insanguinato) e si richiamano a questa bella avventura in amicizia che si chiama e che continuerà a chiamarsi ancora a lungo Tracce di Jazz (prendetela come augurio o come vaga minaccia, gentili lettori in continua crescita).
Crediamo che sia un modo per segnalare il jazz che più c’è piaciuto quest’anno, senza pretese di completezza o senza consegnare allori di cartapesta. In questo Vol.1 raccogliamo le indicazioni di MIlton56 e 53Rob. Buon ascolto e buona lettura, usate i link a volontà per favi un’idea, amici jazzfans, e ricordiamoci che i dischi si possono sempre comprare, in fondo non c’è modo migliore per sostenere la musica che amiamo.

53ROB
“Migliori album italiani”
Solo due, perché li trovo di molte lunghezze superiori ad altre proposte e perché sono gli album che più ho ascoltato con piacere durante l’anno. Dino Betti Van Der Noot, come sempre quando edita un nuovo disco, fa gridare al miracolo: anche questa volta missione compiuta, musica densa, corroborante e mai doma. Fasoli riesce a far convivere una chitarra elettrica di netto stampo rock con trame ed improvvisazioni di atmosfera free. Il tutto poi con una manciata di nuovi temi assolutamente godibili.
Dino Betti – The silence of the broken lute
http://www.abeatrecords.com/catdetail.asp?IDprod=365
“Migliori album internazionali“
Elenco in cui convivono novità e ristampe. Moltissime nuove uscite, anche troppe, a fronte di un mercato sempre più esangue. Come ormai succede da molti anni, nessun capolavoro immediatamente riconoscibile, ma molti buoni album. Sarà il tempo poi a giudicare se reggeranno all’usura o se, addirittura, entreranno di diritto tra gli immortali.
Wadada Leo Smith The Chicago Symphonies
Steve Coleman – Live at Village Vanguard volume 2
https://stevecoleman.bandcamp.com/album/live-at-the-village-vanguard-volume-ii-mdw-ntr
Julius Hemphill – The boyè multi-national crusade for Harmony
Charles Mingus – Mingus at Carnegie Hall
John Coltrane – A Love Supreme Live in Seattle
MILTON56
Ancora un altro anno di caos. Mi ero illuso che la musica potesse reagirvi con uno scatto di creatività e di comunicativa, surrogandosi a tanti altri ambiti dai quali non ci è venuta alcuna risorsa, né di comprensione, né tantomeno di bellezza e speranza. Aspettativa in gran parte delusa, sicchè è molto difficile metter mano a questa logora e surreale cerimonia del ‘meglio del 2021’, un altro anno in cui più che altro abbiamo avuto a che fare con il peggio e con il vuoto. Tra l’altro buona parte degli album usciti negli ultimi dodici mesi sono in realtà molto spesso produzioni impostate anche due-tre anni fa. Il criterio di selezione basato sul calendario è quindi ora più che mai risibile ed arbitrario, ma tant’è, un criterio di discrimine bisogna pure assumerlo. Ulteriore avvertenza: mai come quest’anno è del tutto assurdo parlare di ‘tendenze’, di ‘scene in evoluzione’ in una situazione in cui ha registrato e pubblicato solo chi ha potuto ed ha avuto fortuna. Quindi il mio criterio è stato uno solo: quello che mi è piaciuto, meglio, quello che mi ha dato emozione al punto di portarmi ad ascolti ripetuti guidati solo dall’impulso del momento. I dischi migliori poi spesso sarebbero quelli che non ci sono, le cose sentite sul palco e che tuttora attendono documentazione compiuta: impossibile non ricordare il folgorante Brad Meldhau Trio nel luglio scorso a Perugia e l’Alexander Hawkins in solo a Novara nello scorso giugno. Sorry, niente Italia quest’anno: d’altra parte se si suona poco o nulla perché mancano perché mancano i palchi su cui farlo, inutile aspettarsi che qualcosa esca dagli studi di registrazione (soprattutto pensando alla situazione comatosa delle pochissime etichette professionali ancora operanti in Italia). Ah, dimenticavo: nemmeno ristampe ed inediti storici, cose che ormai conosciamo in anticipo ed aspettiamo forse in 100: questi non sono tempi per baloccarsi con i ritrovamenti archeologici.
Vijay Iyer Trio – Uneasy – ECM
Avrebbe potuto esser l’ inno del Dopo… che non c’è stato. Musica profetica e potente al punto di emergere persino da una produzione opinabile
Archie Shepp/Jason Moran – Let my People Go – Archieball
Non c’è bisogno di recuperi filologici: Coltrane è sempre tra noi. Grazie a chi se lo può permettere, naturalmente. Un emozionante passaggio di testimone
Craig Taborn – Shadow Plays – ECM
Beati i viennesi che hanno goduto di un simile trip…. A noi sono invece toccati faticosi esperimenti con riottosi marchingegni elettronici, un tantino inconcludenti….
Makaya McCraven – Deciphering the Message – Blue Note
L’album che farei ascoltare ad un/a giovane per conquistarlo al jazz. Tanta febbrile inquietudine, ma filtrata da grande esprit de finesse… Un collettivo che straripa di talenti.
George Cables – Too Close for Comfort – HighNote
‘Ogni riferimento a persone, cose o virus realmente esistenti è puramente accidentale’? Noo…. niente affatto. Tutta l’ironia e l’understatement del grande jazz impersonata da ‘uno che non ha più nulla da dimostrare’, come ha detto un mio illustre collega.
L’album di Iyer compare non solo nelle due nostre selezioni ma anche nella maggioranza dei Best of che sono usciti. Se poi fosse stato registrato bene sarebbe a mio parere l’album dell’anno. Una volta ECM si faceva vanto della qualità del suono delle proprie registrazioni. Qui invece sembra che il lavoro l’abbia fatto il cugino di Eicher in un polveroso sottoscala….
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