La scelta di confermare Umbria Jazz Winter 2021 ha richiesto un certo coraggio, in qualche modo ricompensato da un impatto della pandemia relativamente limitato, come vedremo nelle prossime puntate.
Sono poi rimasto sorpreso da un’affluenza di pubblico superiore alle aspettative, ovviamente pressoché assenti le presenze internazionali che affollavano le scorse edizioni. Le platee del Teatro Mancinelli, del Palazzo dei Sette e del Museo Emilio Greco non hanno quindi visto vuoti significativi.
La sera del 29 dicembre si debutta in grande stile con un’esclusiva del festival umbro: il duo George Cables – Sullivan Fortner. Del primo c’è poco da dire, ne abbiamo parlato anche in passato, per me è il depositario del canone del pianismo jazz moderno: del resto la pensavano così anche i tardi Dexter Gordon ed Art Pepper, che stravedevano per lui (che già aveva militato con Blakey, Roach, Rollins ed Hubbard)

Fortner, classe 1986, viene da New Orleans – e già questa è referenza significativa. Praticamente è cresciuto dietro ad una tastiera (a nove anni già accompagnava funzioni religiose); curriculum successivo zeppo di premi e diplomi di prestigiose istituzioni musicali, ma, quel che più conta, immediati ingaggi professionali di gran livello, tra cui spicca una lunga collaborazione con Roy Hargrove. Significativamente è stato scelto come accompagnatore da una cantante raffinata come Cecile McLorin Salvant, a giorni li sentiremo insieme in Italia (incrociamo le dita…).

Quarant’anni di differenza all’anagrafe, nel gran libro del jazz diverse generazioni. L’emozione di Fortner (proprio quel giorno festeggiava 35 anni) è palpabile: “Il mio compleanno? Il mio regalo è lui”, indicando Cables, che si schermiva ironico.
Un duo pianistico è una formula non facile: rischia facilmente di degenerare in un duello virtuosistico un po’ sterile. Non è stato questo il caso, forse ha giocato da una parte la reverente ammirazione di Fortner verso un maestro riconosciuto, che a sua volta dall’alto di oltre 50 anni di musica ha individuato a colpo sicuro un indubbio talento.
Altro fattore d’interesse è la palpabile diversità di stile ed approccio evidente nei due pianisti. Il lungo set ha rivelato un sapiente e dinamico incastro tra componenti diverse, che rendevano chiaramente riconoscibili i contributi dei due musicisti. Da Cables la solida struttura, da Fortner un arioso abbellimento; accordi solidi contro melodie; colori scuri contro sfumature brillanti; drive implacabile contro estro aereo.
Molto elegantemente Cables ha rinunziato quasi del tutto ad attingere al suo corposo book di composizioni (largamente utilizzato dai suoi ex leaders) accettando di giocare quasi sempre su di un terreno neutro: quello di riconosciuti standards moderni. Così abbiamo visto sfilare un dinamicissimo ‘On the Green Dolphin Street’, spogliato dell’arcano che accompagna quasi sempre le sue prime battute, un paio di Monk affrontati a perdifiato e molto ‘movimentati’ da bagliori stride e scintille anche più dissonanti di quelle dell’originale, un paio di ballads appena un poco più riflessive, giusto delle piccole pause in un set all’insegna della di un’incessante fluidità.
Insomma, un’esclusiva di grande originalità e fascino di Umbria Jazz Winter: fossi nell’organizzazione punterei su questa produzione per la progettata ed annunziata uscita discografica, anziché sull’altra di cui parleremo più avanti, tra l’altro azzoppata dal Covid.
La performance si prestava inoltre ad esser goduta su due livelli diversi: o lasciandosi trasportare dal suo indomabile dinamismo arricchito da sottili invenzioni, oppure tentando di penetrare la sua trama intricata e stratificata. Insomma, ce n’era per ascoltatori dalle inclinazioni più diverse.
Infatti già dopo i primi brani la temperatura in platea era salita visibilmente: ma le brevissime pause tra un brano e l’altro non consentivano al pubblico del Mancinelli (altro bell’uditorio, lo si capiva dal timing degli applausi) di esprimersi appieno. Ma di fronte ad una pausa un po’ più lunga delle altre, che fa presagire la conclusione del set, ecco un boato che dura minuti, tra grida ed acclamazioni. Fortner levita visibilmente sullo sgabello, ma anche il veterano Cables vede incrinarsi la sua nota, elegante ironia: ottiene il silenzio portando le mani sulla tastiera, ma poi si volta improvvisamente verso la platea ed a mezza voce: “We love you madly”. Poi in un soffio annunzia il bis: è un’aereo, danzante, modernissimo “All the things you are”. Per fortuna ho da offrirvi questa piccola ‘scheggia’, che vi darà un’idea di questa grande serata: è un classicissimo ‘Body and Soul’. Non è vietato sperare che poi possa arrivare anche dell’altro. Milton56