Nuovo appuntamento con il grande jazz, per la rassegna musicale del Centro Servizi Culturali Santa Chiara di Trento curata da Enrico Bettinello e Chiara Civello – ai primi di marzo si era esibito il Viyay Iyer Trio – ed è stato un appuntamento di grande richiamo, a cui ha risposto con entusiasmo l’ampio pubblico del Teatro Auditorium lo scorso 14 aprile: con Dee Dee Bridgewater, una delle voci ‘classiche’ del jazz e del blues, e il suo progetto italiano nato nel 2021 e per il quale si era esibita, come di nuovo quest’anno, con una band che riunisce alcuni tra i più interessanti giovani jazzisti della scena italiana: Mirko Rubegni alla tromba, Michele Polga al sax, Claudio Filippini al pianoforte, Rosa Brunello al basso ed Evita Polidoro alla batteria.
Se la cantante statunitense non ha certo bisogno di presentazioni, degli altri membri della band diremo almeno che si tratta di musicisti attivi da qualche tempo sulla nuova scena musicale italiana, come titolari o in collaborazioni, spesso incrociando le reciproche traiettorie, a partire dalla frequenza dei seminari di Siena Jazz. Rosa Brunello, ad esempio, la conosciamo da The Crossing di Enzo Favata o per il suo trio Los Fermentos; Evita Polidoro, già vincitrice nel 2020 del premio “Giovani Visionari” (Federazione Nazionale Il Jazz Italiano), è attiva in formazioni quali Nica di Michele Polga, con Camilla Battaglia e la stessa Brunello; Claudio Filippini può vantare come titolare diverse formazioni e innumerevoli collaborazioni estere e nazionali, tra le quali anche con Michele Polga; e infine Mirko Rubegni, già presente nella Cosmic Band di Petrella e nella Unknown Rebel Band di Guidi, e titolare di un trio con Stefano Tamborrino e Gabriele Evangelista. E che si conoscano musicalmente – vuoi per precedenti frequentazioni, vuoi perché, come nel caso di Rubegni, Filippini e Polga, hanno lavorato assieme agli arrangiamenti dei brani proposti da Bridgewater – lo si è visto, e lo si è sentito, anche al concerto a Trento, dove si sono presentati come un gruppo coeso, in cui Bridgewater si muoveva come primus inter pares, interloquendo di volta in volta le due strumentiste, i fiati o il piano di Filippini, ma lasciando anche spazio a interventi solistici dei suoi sodali.
Grande intesa, dunque, per un concerto che ha visto Bridgewater proporre alcuni dei brani che hanno segnato la sua lunga carriera, partendo da Sea Journey di Chick Corea, passando per Unexpected Days di Stanley Clarke e per la monkiana Round Midnight per arrivare infine, dopo Long time ago dell’amico Wayne Shorter – tratto dal suo lavoro alla ricerca delle radici africane (Red Earth, A Malian Journey, 2007) – a Nica’s Dream di Horace Silver, evocato peraltro più volte nel corso della serata.
Una serata certamente da ricordare, in cui l’artista statunitense ha dimostrato una volta di più grande bravura e presenza scenica (oltre che sapienza nel gestire i passaggi vocali più impegnativi), e una personalità poliedrica ora leggera e scanzonata, ora energica e vissuta, e in cui la giovane scena italiana – con il pianoforte di Filippini a spiccare particolarmente, e la batteria di Polidoro lieve e incalzante al tempo stesso – ha dato una bella prova di sé.
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