CARTOLINE – Südtirol Jazz Festival Alto Adige, cuore pulsante del giovane jazz europeo

Si è da poco conclusa la 40esima edizione del Südtirol Jazz Festival Alto Adige – che ha visto susseguirsi, dal 24 giugno al 3 luglio scorsi, ben 56 concerti in una trentina di  diverse location a Bolzano e provincia -, e già ci manca. Ci mancano le serate al parco dei Cappuccini nel capoluogo, Base camp del festival e baricentro di musica e socialità dove ci aspettavano due o tre concerti serali con ampie formazioni o dialoghi in duo o in trio; ci mancano le proposte fuori città, tra musei, distillerie e rifugi alpini a fare da cornice a set ora introspettivi e dilatati, ora acuminati e imponenti come le rocce dolomitiche; ma ci manca soprattutto il Sudwerk, il club dove, puntualmente ogni sera alle 23.30, potersi avventurare sul limitare della notte nelle sperimentazioni audaci e passionali che costituiscono la cifra stilistica delle nuove generazioni di musicisti europei presenti al festival, a cavallo tra jazz, rock, elettronica, contemporanea e noise.

Impossibile seguire tutte le proposte di un festival così ricco – e a cui si guarda con sempre maggiore apprezzamento nel panorama europeo e internazionale – e arduo seguirne tutte le possibili traiettorie rendendone qui conto; senza dubbio però questa edizione ha coronato gli sforzi e un impegno pluriennale di Klaus Widmann, che, assunta nel 2004 la direzione del festival, ha virato dal 2012 decisamente verso l’Europa e verso i “giovani”, con lungimiranza e non senza rischi, dopo che la manifestazione, nei suoi primi due decenni sotto la direzione di Nicola Ciardi e un giovane Widmann ad affiancarne il percorso, aveva portato a Bolzano il meglio dell’avanguardia made in USA ed europea, delineandosi sin dall’inizio come rassegna aperta, innovativa e avventurosa.

Rassegna aperta, dunque, e che nel corso dell’ultimo decennio ha accolto svariati artist in residence – puntando di volta in volta l’attenzione su un paese o su un’area geografica del vecchio continente (Svizzera, Francia, Gran Bretagna, Italia/Austria, Belgio/Lussemburgo/Paesi Bassi, Scandinavia, penisola iberica, Europa sud-orientale); artisti che in questa edizione, dedicata all’Europa nella sua totalità, sono ritornati con nuovi progetti e, come ormai tradizione al SJF, all’insegna delle collaborazioni transnazionali, rese possibili anche da ospitali permanenze di più giorni in loco.

Così, abbiamo ritrovato ad esempio Dan Kinzelman (che aveva dato una forte impronta all’edizione del 2016), con Hobby Horse, ma anche in un duo inedito con il batterista e violoncellista sloveno Kristijan Krajnçan, e, ancora, con il suo sound contemporaneo tra le fila di Frontal, formazione capitanata da Simone Graziano e arricchita dal 2018 dalla presenza del chitarrista olandese Reinier Baas, conosciuto musicalmente da Graziano proprio a Bolzano. Concerto, quest’ultimo, dove è emersa chiaramente la nitida concezione compositiva e improvvisativa del titolare quanto del collettivo, in un susseguirsi di episodi ruvidi e sostenuti e di momenti onirici e soffusi, per una musica molto pensata ma che sa farsi anche decisamente fisica.

Embracing: Piano Solo Corpo Solo (Simone Graziano e Claudia Caldarano

E mentre Graziano aveva portato sul palcoscenico bolzanino, nel primo weekend festivaliero, anche l’evocativo Embracing: Piano Solo Corpo Solo, con la danzatrice Claudia Calderano – corpo che anch’esso nei passaggi più intensi produce suoni, violenti e inaspettati, a dialogare con il pianismo ora inquieto ora disteso di Graziano, Francesco Diodati, presenza pluriennale a Bolzano, l’abbiamo invece intercettato in uno dei set notturni con una formazione internazionale scelta per il festival (Reinier Baas, Joe Rehmer basso e contrabbasso, e Lukas König alla batteria – altro musicista non nuovo in città, e a cui ritorneremo tra poco). Set in cui i due chitarristi, pur nella loro diversità, o proprio grazie ad essa, sanno intessere una chiara trama comune, tanto dilatata e riflessiva quanto nervosa ed energica, con basso e batteria ugualmente in grande sintonia.

In tutt’altra location – l’incantevole parco di Palais Toggenburg in una mattinata d’estate – Diodati ha poi presentato Tell Kujira (con Ambra Chiara Michelangeli alla viola, Francesco Guerri al violoncello  e Stefano Calderano alla chitarra elettrica), in un concerto di forte impatto emozionale anche grazie a un totale interplay di gruppo – maturo equilibrio nell’apporto, sempre dialogico, dei singoli musicisti, concentrazione, ascolto profondo, narrazione collettiva, sapiente uso dell’elettronica come delle dinamiche, sempre pertinenti al tessuto sonoro in divenire –, che ha dato vita a una musica organica, senza forzature né ripensamenti, alla ricerca di ciò che è indispensabile e necessario. Uno dei momenti più intensi, per chi scrive, dell’intera rassegna.

Tell Kujira (Francesco Diodati, Ambra Chiara Michelangeli) (pic DV)

Molto apprezzata è risultata poi la scelta del festival di ospitare per la prima volta, su suggerimento di Kinzelman, la giovane batterista Evita Polidoro (già vincitrice nel 2020 del premio “Giovani Visionari”,  e attiva nella band italiana di Dee Dee Bridgewater (vedi articolo di qualche settimana fa ) con il suo trio Nerovivo da un lato – paesaggi sonori dilatati e trasognati, ampio uso dell’elettronica, echi pop –, e un veterano del festival e del jazz quale Luciano Biondini dall’altro, esibitosi in un solare viaggio improvvisativo attorno alla canzone italiana e al cinema di Nino Rota, con il “Pinocchio” di Comencini  a risvegliare emozioni sopite, come pure in concerto con A Novel of Anomaly (Schaerer, Kalima, Niggli): vissuti e concezioni musicali apparentemente agli antipodi, a testimoniare la vitalità del jazz del Belpaese in questo nostro tempo.

Luciano Biondini (pic DV)

E infine, partendo dall’Italia ma travalicando i confini nazionali, ottima prova dell’Euregio Collective (ensemble avviato nel 2017 a cavallo tra Alto Adige, Trentino e Tirolo, e che da allora ospita giovani musicisti delle tre aree facendoli interagire tra loro e con artisti nazionali e internazionali, workshop e concerti nel territorio dell’Euregio e oltre). Collettivo che è artisticalmente cresciuto negli anni, e che a Bolzano ha regalato un notevole concerto di sintesi del tragitto percorso, e in cui spicca il contributo improvvisativo e compositivo del vibrafonista trentino Mirko Pedrotti. 

Numerosissimi erano però gli altri artisti conosciuti nel tempo al SJF e presenti anche quest’anno; tra questi, accanto a chitarristi come l’elegante e poliedrico Baas o l’energico Kalle Kalima, costante è stata la presenza del sassofonista finlandese Pauli Lyytinen, già artist in residence nel 2018: lo si è potuto ascoltare, tra l’altro, in un intimo duo con il poeta sami Niillas Holmberg, con il suo trio Rabbit Hole, e, ancora, con il trio jazz-prog-rock Equally Stupid, portando un sound maturo ora onirico e soffuso, ora graffiante e impellente, e sempre apprezzato. Grande assente purtroppo la cantante Leila Martial (che avrebbe dovuto esibirsi con Diodati e Tamborrino nel trio Oliphantre, come pure nel suo trio Baa Box), mentre era invece presente uno dei suoi sodali francesi, Pierre Tereygeol (chitarra e voce), a capitanare Xaman, rock elettrico con incursioni blues, jazz e world, in due rinvigorenti concerti montani in trio, con Martin Wangermée alla batteria e Benoit Lugué al basso elettrico – Tereygeol ci aveva del resto regalato qualche giorno prima un raffinato e intimo set, al Sudwerk, con Kristijan Krajnçan al violoncello, alimentando una curiosità che ha saputo premiare.

Dal canto suo Kristijan Krajnçan, polistrumentista sloveno new entry a Bolzano, non ha mancato di colpire chi ha avuto il piacere di sentirlo, con suoi progetti (il collettivo Honey Sparks in the Dark, il duo con Ana Cop alla voce) o in interazione con altre formazioni presenti al festival; un musicista che, alla batteria ma ancor più al violoncello, si muove con grande sensibilità in area contemporanea, facendovi a tratti confluire, rivisitandola, anche la tradizione folk del proprio paese d’origine; un musicista che ci auguriamo di rivedere ancora a Bolzano.

Mopcut (Audrey Chen)

In tema di batteria e percussioni – strumenti in cui gli apporti di grande qualità non sono certo mancati, pensiamo ad esempio a Stefano Tamborrino in Frontal, con Diodati, e in Hobby Horse – è essenziale poi anche un riferimento al viennese Lukas König, tanto versatile quanto attento al contesto in cui si trovava ad agire, ed elemento irrinunciabile in tre dei set notturni che ci sono più piaciuti: nel già citato progetto di Diodati, come pure in Mopcut, cioè a fianco del francese Julien Desprez e della cantante statunitense Audrey Chen. Energia pura, straripante e aggressiva, fendenti feroci alla chitarra, batteria incalzante, ultra noise tirato e velocissimo in cui sa insinuarsi qualche frammento dilatato, e la voce di Chen, contemporaneo gibberish e ostinato strumento di ricerca sul suono, che si prende tutto lo spazio dovuto. Chapeau.

Il terzo intervento di König che ci preme qui segnalare (pur se primo in ordine cronologico) ci porta invece direttamente alla vena African-American e black del 40° anno del SJF, con la poetessa e spoken word artist afroamericana Camae Ayewa, aka Moor Mother, ad interagire verbalmente, con la sua voce ieratica, con il batterista viennese e con Shahzad Ismaily (già membro dei Ceramic Dogs di Marc Ribot) a basso elettrico e percussioni. Costellazione felicissima, pura intesa sonora ed emotiva, il suono che nasce dal corpo per farsi dialogo intimissimo ed esposto senza filtri a chi ascolta, echi africani ed echi metropolitani, qualche sprazzo di luce a stemperare l’onirico e l’oscuro, e anche questo è un concerto memorabile. A riprova che il festival altoatesino di stampo europeo non è affatto impermeabile alle sollecitazioni da oltreoceano, ricollegandosi idealmente alla sua prima fase e portando a Bolzano quanto di più stimolante vi sia oggi sulla scena statunitense.

Moor Mother-König-Ismaily

Vena black di cui si è avuta ampia traccia anche con il sassofonista e rapper londinese Soweto Kintch, esibitosi a sua volta in numerose occasioni, come leader o come ospite: grande padronanza del palcoscenico e comunicazione d’intesa col pubblico negli interventi rap (ad es. con la notevole giovane batterista britannica Jas Kayser, titolare del duo), incursioni nella tradizione folk giamaicana e improvvisazioni nervose e slabbrate nel concerto con il suo trio (Nick Jurd al contrabbasso, Jason Brown alla batteria) – con parti orchestrali pre-registrate di grande elenganza, a farci intuire il luminoso impianto compositivo del titolare; e poi, giorno dopo giorno, interventi sempre più dialogici con le altre formazioni, entrando in rapporto con quella che, sul finire del festival, è sembrata una piccola grande ‘famiglia’ europea.

Impossibile, come si accennava, rendere conto di tutta la musica ascoltata in dieci intensissime giornate full immersion; ma per tentare di rendere giustizia a una rassegna così articolata non va dimenticata l’attenzione anche per i giovanissimi e forse sconosciuti ai più (la cosiddetta “next generation”, pensiamo ad es. alla vocalist ungherese Emma Nagy e al suo quintetto, o al trio finlandese di Ville Lähteenmäki, fortemente orientato verso la tradizione free anni ’60 e ’70 e con una solida base per poter percorrere nuove strade in futuro). O ancora, il deciso focus sulla voce, femminile ma non solo: delicatissimo e interiore il duo di stanza ad Amsterdam Sanem Kalfa/Fuensanta Méndez; pop irriverente per il trio finlandese Frank Frank Frank con Anni Elif Egecioglu, già sodale di Lyytinen; la voce graffiante e narrativa della cantante e attrice Jelena Kuljić, in chiusura di festival anche con i Kuu!; l’eterea Lauren Kinsella e il funambolico virtuosismo vocale dello svizzero Andreas Schaerer, e l’elenco potrebbe continuare a lungo.

Südtirol Jazz Festival Alto Adige 2022, dunque: festival storico proiettato verso il futuro che, come nella migliore tradizione jazz, non rifugge ma anzi cerca il rischio, senza permettersi di dormire sugli allori. Ed è un modo di fare cultura musicale che auguriamo ai futuri direttori artistici Max von Pretz, Stefan Festini Cucco e Roberto Tubaro – da anni assiduamente al fianco di Widmann, che passa con quest’edizione il testimone – di poter continuare a coltivare, portando nuova linfa vitale al territorio come al panorama europeo e internazionale; con vigore, tenacia e curiosità.

SJF “Base Camp” (Parco dei Cappuccini, Bolzano)

Le foto sono dello staff di SJF.

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