Roberto Ottaviano Alexander Hawkins – “Charlie’s blue skylight”

Zio, ma perchè compri sempre dischi di gente morta da un sacco di tempo ? “. Alla domanda di mio nipote quattordicenne avevo pensato di rispondere proponendo di ascoltare questo disco di Roberto Ottaviano ed Alexander Hawkins registrato in occasione del centenario della nascita di Charlie Mingus e composto tutto da interpretazioni di brani del contrabbassista di Nogales. Mingus è nato cento anni fa e scomparso da quarantatre, questo è vero. Ottaviano e Hawkings sono musicisti che interpretano musica scritta cinquanta o sessanta anni fa. Ma potentemente vitale, emozionante e contemporanea, veicolo ideale per l’originale espressività di due protagonisti fra i più interessanti della scena jazz attuale. Ho subito rinunciato all’intento educativo, pensando che l’assenza totale di autotune, vocette melliflue e rime gutturali avrebbe causato una reazione di rigetto, rendendo improponibili anche solo pochi minuti del sax soprano di Ottaviano in “Canon“, il brano che apre l’album, curiosamente lo stesso inizio che sigillava “Weird Mightmare: meditadions on Mingus” altro celebre tributo a Mingus ideato da Hal Willner ad inizio anni ’90 con molti protagonisti della scena jazz e rock come Bill Frisell ed Elvis Costello. Qui lo svolgimento lento ed avvolgente del blues è affidato al solo soprano che produce spirali sovrapposte, mantenendo intatta la tensione latente e la profondità dell’originale presente su “Mingus moves“. E’ una prima chiave di lettura di “Charlie’s blue skylight”, prodotto mirabilmente dall’etichetta pugliese Dodicilune con il contributo di Puglia Sounds: nonostante la formazione concentrata sui due soli strumenti, le riletture di Ottaviano e Hawkins riescono a percorrere con assoluto rigore filologico la trama narrativa e la struttura architettonica delle composizioni, fornendo l’apporto supplementare della sensibilità di autori ed interpreti cresciuti anche grazie all’opera del turbinoso maestro.

Cavalicco, 09/06/2022 – Artesuono Recording Studio – Roberto Ottaviano & Alexander Hawkins – Foto Luca A. d’Agostino/Phocus gency © 2022

L’interpretazione autentica la fornisce invece Roberto Ottaviano : “«Mingus il beffardo, il bullo, l’arrogante figlio di puttana, quello avanti a tutti, il guerriero samurai con la sua dinastia da una parte e l’uomo che non dormiva mai con la borsetta piena di psicofarmaci dall’altra… Non so. Per me è sempre stata un’altra questione d’amore. Eccessivo, indicibile, in grado di passare dalla seta blue alle orge ecclesiastiche con lo scatto di un giaguaro. Accendere un fuoco e bruciare in fretta tutto, Gospel, Blues, Ellington, Songs, Pitecantropi e uomini multipli come Rahsaan, allucinazioni e psicosi, e poi sedersi con la sua pipa e osservare le fiamme con la tenerezza di un bambino, con gli occhi lucidi. Non potevo che chiedere ad Alexander di condividere con me questa autoterapia d’amore attraverso la luce blue del cielo di Charlie».

Un percorso terapeutico che attraversa altre dieci “sedute”: una “Hobo Ho” che concentra nella metà tempo dell’originale il proprio motore vagabondo, con il piano che sostituisce il poderoso riff del contrabbasso, l’agile melodia di ” Remember Rockfeller At Attica“, la destrutturazione del tema di “Oh Lord, Don’t Let Them Drop That Atomic Bomb On Me” affidata al pianoforte solo.

E poi il blues cubista che riveste ” Dizzy Moods”, con i due strumenti sincronizzati su orbite diverse e complementari, le sculture oniriche di ” Smooch A.K.A Weird Nightmare” magistralmente scolpite dal fraseggio di Ottaviano sullo sfondo del fender, il passo iniziale nella libertà formale di “Pithecanthropus Erectus” da cui sboccia un solo del sax che spande aromi mediterranei. In ” Free Cell, Block F Tis Nazi U.S.A.”, uno dei molti titoli “politici”di Mingus, il sax in solitaria ci accompagna nell’a’ esplorazione dettagliata e progressivamente sempre più intensa del tema, portandoci a stretto contatto con la partitura della composizione; succede anche in un altro dei capolavori di questo disco, ” Self Portrait In Three Colors” che si snoda lenta e profonda permettendoci di cogliere tutte le variazioni della semplice sezione melodica iniziale. Si chiude con due brani agli antipodi, giusto per rappresentare gli umori mutevoli dell’autore ma collegati dall’anima blues : il duello ritmico fra il piano elettrico ed il sax di “Haitian Fight Song“, e la dolcezza sorniona di ” Us Is Two“. Molto bella anche la copertina che allude alla leggenda dei 56 capodogli spiaggiati sulle coste del Messico in coincidenza con la morte di Mingus avvenuta a 56 anni. Disco fra i più interessanti ascoltati quest’anno. In barba (quando crescerà) a mio nipote.

3 Comments

  1. Riproporre il Mingus compositore in duo è un grosso azzardo. Qui la scommessa è stata vinta a mani basse da una coppia combinata in paradisso, come dico io. Speriamo che da loro ci venga tanta altra musica. Le pagine mingusiane sono filtrate da uno sguardo terso e limpido, arricchite da introduzioni creative ed intriganti, e soprattutto è stata evitata la facile e scontata tentazione di premere sul pedale dell’espressionismo di grana grossa. Fossi un giovane musicista di oggi farei di questo album il mio ‘livre da chevet’ da cui pescare temi splendidi e seducenti, e rinvierei a tempi migliori (e più maturi) le ambizioni di scrittura in proprio. Da semplice ascoltatore io sono già a più di venti passaggi nel lettore. Milton56

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