Estate, tempo di festival, tempo di vagabondaggi e peregrinazioni musicali in terre vicine e lontane alla ricerca di suoni inusitati, di proposte ardite, e del rischio dell’imprevisto. Una ricerca che ci ha portato recentemente, vicino alla via Franchigena nel senese, alla suggestiva Pieve di Ponte allo Spino (Sovicille), diventata per tre giorni spazio performativo di un festival che incuriosisce, così lontano dai riflettori delle grandi kermesse jazzistiche del Belpaese, ma così vicino alle pulsazioni e alle ramificazioni che la musica di ricerca può assumere oggi: ricettiva e interdisciplinare, contemporanea e contaminata, fresca, giovane.
Ed è stato proprio questo il filo rosso seguito dalla seconda edizione del Now Music Festival, a cura dell’associazione BlueRing-Improvisers (attiva come collettivo da quasi un decennio a Bologna e in centro-nord Italia con un fitto calendario di rassegne, eventi, seminari, residenze e progetti discografici) e per la direzione artistica di Tobia Bondesan, Giuseppe Sardina e Michele Bondesan: una proposta che si è sviluppata su tre serate dal 19 al 21 agosto scorsi, con nove concerti tra collaborazioni interdisciplinari, artisti già noti o che si stanno facendo conoscere in area di musica creativa, accanto a nomi ancora tutti da scoprire e nuovi accostamenti a tenere alta l’attenzione.
Così, in apertura di festival, l’intimo chiostro della pieve ha ospitato il trio G.E.A., con Luca Grilli al contrabbasso, Pierluigi Foschi alla batteria, e un giovanissimo quanto convincente Cosimo Fiaschi al sax soprano, in una ricercata interpretazione della musica di Mulatu Astakte: una formazione che ha saputo rendere, con tatto e decisione al tempo stesso, quel senso di sottile spaesamento che l’ethio jazz non di rado induce nell’ascoltatore occidentale, declinandolo in chiave vicina al nostro tempo.
Lo stesso chiostro ha fatto poi nella seconda serata da perfetta cornice, in semi-oscurità, a “Creature”, a cura della danzatrice olandese Astrid Bramming e del batterista e percussionista (attivo tra l’altro anche come leader della Dooom Orchestra di stanza a Padova) Francesco Cigana. Un progetto – a cui partecipa anche Giulia Russo, qui non presente – in cui, ispirandosi alle figure emozionali che si annidano e vivono nel nostro subconscio, i due partner hanno dato vita a un intenso quanto intimo set, con Bramming a interagire con grande naturalezza e in un’apparente casualità con lo spazio a disposizione – una nicchia, le colonne di un portico, il selciato –, il corpo che poeticamente quasi perde l’equilibrio, il corpo che si protende quasi fuori da sé stesso, e batteria e percussioni a costruire una tessitura nel tempo e fuori dal tempo in un’interazione tra pari tra forme espressive della contemporaneità.

E se ulteriori collaborazioni interdisciplinari non sono mancate all’interno della rassegna – già la prima serata si era conclusa, all’interno della pieve, all’insegna del connubio tra la musica di Achille Succi (clarinetto basso), Nicolò Faraglia (chitarra) e Giuseppe Sardina (percussioni) e le illustrazioni in divenire di Marta Viviani – ancora più avventurosi si sono configurati gli accostamenti proposti durante il festival dal punto di vista strumentale, con sax e vibrafono da un lato, e banjo e contrabbasso dall’altro.
Il concerto di Tobia Bondesan al sax contralto e Nazareno Caputo al vibrafono (a cui si affiancava la marimba, utilizzata nel registro grave) – proposto sabato sera dopo un primo vivace set del trio BJ Jazz Gag (Biagio Marino chitarra, Mirco Ballabene contrabbasso, Massimiliano Furia batteria) – ha infatti permesso di (ri)scoprire una volta di più uno strumento, il vibrafono, ancora troppo poco presente in ambito jazzistico e improvvisativo, e di coglierne così le potenzialità timbriche, ritmiche ed espressive. Duo di grande interplay – frutto di una recente e assidua frequentazione musicale e personale di due figure che si stanno fortemente caratterizzando nel panorama nazionale, con un’ampia produzione discografica già alle spalle – e in cui ognuno dei due sodali (affiancati del resto già nel Southern Europe Jazz Group) sembra aver trovato nell’altro un partner ideale per esplorare nuovi percorsi a cavallo tra scrittura e improvvisazione.

Un percorso, quello all’insegna del dialogo tra strumenti apparentemente lontani, continuato poi domenica, con il duo (banjo e contrabbasso) di Luca Perciballi, apprezzato chitarrista e compositore, e Michele Bondesan, di solida formazione classica ma da diverso tempo transitato in area jazz e di ricerca. Un concerto, quest’ultimo, dipanatosi in una serie di episodi a sé stanti in cui avventurarsi in ricerche timbriche e intrecci dialogici musicali-emozionali, micro-narrative registrate al momento su cassetta – una scelta organica e in sintonia con l’impianto semi-acustico del set –, la lieve e a tratti scanzonata freschezza di un banjo non idiomatico pur se allusivo alla tradizione folk, e un contrabbasso che risponde fedele alle mani sapienti che ne percuotono le corde e la cassa, e in cui musicista e strumento sembrano farsi un tutt’uno zen. Felice collaborazione destinata a continuare, e che varrà la pena riascoltare anche su un disco programmato per il prossimo futuro.
Ugualmente in area di ricerca, e a cavallo tra musica colta e improvvisazione, di grande impatto si è rivelato anche il solo di Francesco Guerri, svoltosi – facendo qui un passo a ritroso – nel corso della prima serata all’interno della pieve: un concerto in cui il violoncellista (numerosissime le frequentazioni con la scena jazz creativa statunitense, e attivo ad esempio anche in TellKujira e nell’Orchestra Creativa dell’Emilia Romagna) ha proposto brani dal suo ultimo lavoro “Su Mimmi non si spara” (2019, RareNoise Records, qui recensito): come pure nuove composizioni, regalando ad un attentissimo uditorio momenti di rara bellezza, e nei quali virtuosismo e tecniche performative, idiomatiche e non, sanno diventare veicolo di espressività e creazione.

A conclusione dell’ultima giornata di festival (e del tour-de-force per gli organizzatori, impegnati in prima persona su tutti i fronti con passione e propulsione), infine, il suono imprevedibile di Hobby Horse con Dan Kinzelman al sax tenore e clarinetti, Joe Rehmer al basso e Stefano Tamborrino alla batteria – tra atmosfere bluesy, oscure, ed elettronica, momenti onirici e straniati, declamazioni vocali e voci ipnotiche ad accompagnare il pubblico nell’universo audace e multiforme del trio – e “Noname”, con l’elettronica e le enigmatiche figure proiettate sulle mura della pieve di Cristiano Bocci e Riccardo Nannoni, a chiudere il cerchio: ending party di una manifestazione coraggiosa, ventata d’aria fresca e spericolata per il viandante alla ricerca delle musiche dell’oggi, in una calda estate italiana.

Le foto sono di Fabio Canestri.