Giovanni Tommaso: “Perigeo, il suono dell’amicizia”.

Nostra intervista in occasione della pubblicazione di “One shot Reunion

Qui ci sono in gioco i sentimenti“, diceva Giovanni Tommaso in un’intervista rilasciata poco prima del concerto di riunione del Perigeo, tre anni fa. A significare come riprendere il filo di una storia chiusa 45 anni prima si presentasse per i componenti del celebre gruppo come un abbraccio fra vecchi amici. Riascoltare oggi la ripresa, magnificamente realizzata e pubblicata dall’etichetta abeat, di quella serata evento, è altrettanto emozionante per i fans che seguivano il Perigeo fin dai primi anni settanta. Dicono facesse molto caldo quella sera del 23 luglio 2019 a Firenze, ma il calore dei sentimenti, a giudicare dalla palpabile commozione dei musicisti, e dall’affetto del pubblico presente, avrà senz’altro superato quello atmosferico.

Per raccontare meglio il documento di quella serata, prodotto da Mario Riggio musicista e videomaker e Andrea Pellegrini ingegnere del suono, mossi dall’affetto di fans e dalla”necessità di preservare la memoria“, che arriva ora sul mercato in tre formati, CD, Lp e DVD, abbiamo contattato Giovanni Tommaso – fondatore del gruppo e depositario di una carriera per buona parte coincidente con la storia del jazz in Italia – il quale, con grande disponibilità e cortesia, ci ha concesso una chiaccherata dalla sua casa in campagna fra una “session” di raccolta di olive e l’altra.

Una reunion da anni invocata e richiesta da varie parti e finalmente realizzata nell’ambito del MusArt Festival di Firenze: cosa vi ha convinto a dare vita a questo evento?

Dallo scioglimento del Perigeo, nel 1977, ci sono state solo due occasioni per riunire i ragazzi, la prima nel 1992 per il ventennale di Umbria Jazz, dove il Perigeo si era esibito pochi mesi dopo la sua formazione venti anni prima, in un festival che ospitava fra gli altri i Weather Report, e la seconda intorno al 2010 per il Festival della Creatività a Firenze. E’ vero che nel corso degli anni sono pervenute numerose offerte,, ma noi tutti eravano alla ricerca di condizioni di serietà e competenza organizzativa che potessero garantire un risultato ottimale. L’incontro con Claudio Bertini, organizzatore fiorentino con il quale avevamo già lavorato anni fa, ha rappresentato l’occasione ideale e dopo una lunga trattativa l’idea si è trasformata in realtà nel modo che avevamo voluto. Ho voluto chiamarla One shot reunion” per dare l’idea dell’occasione unica, un ultima chiamata fra amici per lasciare il segno di una storia”.

Molti fans hanno conosciuto il repertorio del Perigeo nei primi anni settanta e riascoltarne, oltre quaranta anni dopo, alcuni estratti nel concerto produce un effetto inevitabilmente nuovo, ricco di tutte le sfumature che derivano dalle esperienze di ascolto maturate. Per i protagonisti della musica come è stato riprendere in mano quel materiale?

In tutti questi anni ognuno di noi ha proseguito a produrre musica, e quando ci siamo ritrovati per preparare il concerto c’è stato un lungo dibattito sull’impostazione da seguire. Avremmo dovuto proporre nuovi arrangiamenti o restare legati alle forme dei brani originali? Ognuno di noi ha preferito scegliere di offrire il repertorio di un tempo nella forma originale, quale omaggio ai fans che, anche a giudicare dai presenti al concerto, non sono di certo da cercare fra i ragazzini. Abbiamo pensato che cambiare la forma dei brani o preoccuparci troppo di dare una veste di attualità alla musica avrebbe significato snaturare, in qualche modo tradire, la nostra storia. Casomai, si è detto, si potrebbe ipotizzare un ritorno del gruppo in studio per registrare nuovi brani, idea che fino ad oggi rimane fra le possibilità da verificare..”

E’inevitabile fare un riferimento all’unica assenza rispetto alla formazione originale, quella di Franco D’Andrea. Una defezione sulla quale è calato un velo di riserbo: si è parlato di una proposta, un incontro a Milano, un lungo abbraccio prima di una rinuncia dovuta forse proprio alla distanza fra la musica attualmente praticata dal pianista ed il contesto tecnologico richiesto per il concerto. Ma la sensazione è che il vero motivo sia rimasto chiuso fra gli sguardi dei protagonisti, con il ricordo a quel momento in cui Perigeo prese vita.

Premetto che, ci fosse stato alle tastiere Herbie Hancock, qualcuno avrebbe comunque trovato da obiettare sull’assenza di D’Andrea. In realtà Franco, che considero il miglior pianista di jazz in Italia, non ha accettato di fare parte della reunion, come successo nel 2010, per motivi personali. Fare il tentativo mi sembrava dovuto, se si considera che Perigeo nacque proprio da una mia telefonata a Franco di oltre cinquanta anni fa. Si era in studio, io, Franco e Bruno Biriaco a registrare le basi per un cantante, nipote del grande trombettista Nunzio Rotondo, ed in una delle pause sindacalii delle sessions, chiesi al tecnico di registrare qualche minuto di musica costruita sulla base di semplici accordi verbali sul tempo e l’armonia nati sul momento. Riascoltati a casa su una cassetta, quei quattro minuti mi convinsero di dare vita all’avventura che poi divenne il Perigeo e volli immediatamente condividere il mio entusiasmo con Franco. In tutti questi anni l’amicizia ed il rispetto con lui, come con tutti i ragazzi del gruppo non sono mai venuti meno , ed anzi voglio sottolineare come la musica, il suono distintivo del Perigeo siano un risultato diretto, oltre che del contributo di ciascuno, anche del rapporto di amicizia e rispetto che ci lega da anni e che nella serata di Firenze è stato ampliato a tutto il pubblico presente, come una sorta di abbraccio collettivo.”

Alle tastiere non c’è D’Andrea, non c’è Herbie Hancock, ma un giovane musicista abilissimo a tessere le trame acustiche dei brani come a dipingere, a metà fra il vintage e l’aggiornamento tecnologico, i fondali elettronici di diversi episodi, che risponde al nome di Claudio Filippini, unico “fuori quota “della formazione; il che, considerando anche la ultra ventennale esperienza di Tommaso in campo didattico, conduce inevitabilmnete ad una domanda sul rapporto fra i giovani ed il jazz.

Contrariamente a quanto si sente spesso dire in giro sulla presunta morte del jazz, noto un certo fermento fra i giovani musicisti. Zero inibizioni nella commistione fra generi diversi, mix di stili affrontati con grande disinvoltura ed evoluzione tecnica incredibile, del tutto impensabile ai tempi dell’apprendistato di musicisti della mia generazione. Per contro si può forse sostenere che la gratificazione data dall’evoluzione tecnica sottragga energia e tempo alla riflessione che è l’ambiente naturale per maturare il feeling, ed in questo si può forse ravvisare un gap generazionale. Il dibattito, comunque, come si diceva un tempo, è aperto.”

Infine due parole sul disco, fedele report di una festa organizzata nel migliore dei modi, con i musicisti riuniti per veloci session di “ripasso” del repertorio di un tempo, Tommaso tornato dopo anni ad imbracciare il basso elettrico, Alex “Pacho” Rossy reclutato per incrementare la sezione ritmica con le sue percussioni. L’ascolto dei dieci brani fa rivivere, come si trattase dell’incontro con un vecchio amico, la “voce” conosciuta del gruppo, i temi all’unisono della chitarra e del sax, la possente struttura ritmica, la liquida narrativa del pianoforte, gli infiammati soli della chitarra elettrica di Tony Sidney, l’alternanza di brani di immediato impatto con momenti più riflessivi ed atmosferici.

L’inizio è per il classico “La valle dei templi” dall’album omonimo, con il motivo salmodiante iniziale e lo sviluppo affidato a sax e chitarra, quindi sfilano “Azimut”, serenamente discorsiva, “Sidney’s call“, groove jazz rock scolpito da chitarra e sassofono, una “Abbiamo tutti un blues da piangere” che nel frattempo è diventato anche il titolo della biografia di Giovanni Tommaso, con una lirica, commovente intro del contrabbasso. Dopo una ripresa de “Il Quartiere” dalla opera collettiva “Alice”, (scritta da Tommaso per Lucio Dalla, Rino Gaetano ed altri) atmosferica e screziata di elettronica, è il turno del basso elettrico, che con le cadenze stringenti della batteria di Bruno Biriaco crea l’ossatura di “Polaris” da “Geneaologia“, il brano forse più rock del repertorio, con un clima da jam session sopra le righe alimentato dagli interventi del fender e del sax di Claudio Fasoli. “Terra rossa ” è l’unico brano tratto dal quinto album “Non è poi così lontano”, pubblicato nel 1977 negli USA con il titolo di “Fata Morgana“, giunto al termine di una storia che aveva, nei pochi anni precedenti, toccato vette da stardom, culminate nelle date insieme ai Weather Report: qui il tema intrecciato fra sax e chitarra si risolve in una lunga escursione in “latin tinge” a cura del pianoforte di Filippini, con il sax di Fasoli che dilata il respiro del brano e ne amplia gli orizzonti. C’è spazio nel finale per il passo folk e danzante di “Genealogia“, tenuto dal sax e sviluppato in una fitta improvvisazione di pianoforte, sax e contrabbasso con archetto e per il sognante intervallo di “Pensieri” introduzione per l’ avvincente ripresa di quello che si potrebbe chiamare il più conosciuto successo del Perigeo, “Via Beato Angelico” : l’arpeggio di chitarra intrecciato con il sax, il tappeto del piano elettrico ed il celebre incalzante motivo qui legato ad una estesa escursione chitarristica di Sidney. Così si chiude questo concerto, questa celebrazione ed abbraccio fra band e pubblico. “Non abbiamo parole” dice alla fine Giovanni Tommaso visibilmente emozionato di fronte a tanto affetto. Ed è forse difficile anche per noi esprimerci con senso compiuto davanti ad emozioni così forti.

2 Comments

  1. Ho piacevolmente letto questo articolo sul Perigeo che mi ha portato inevitabilmente nel passato quando andai ad un loro concerto (insieme ai Soft Machine) nel lontano gennaio 1974 al cinema Astoria di Firenze. Sono quasi passati 50 anni ma li ricordo ancora con piacere.

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