Faroe, l’isola di Ingmar Bergman, quella di ‘Persona’, 1966
In tutte le nostre case esiste ormai da tempo un cassetto, un recesso che è diventato una sorta di cimitero di dispositivi elettronici dismessi. E questi a loro volta quasi sempre diventano la tomba di tante cose che ci si dimentica di salvare altrove, destinandole all’oblio ed a quasi certa perdita.
Parecchi mesi fa in una lontana casa svedese da un sacco in fondo ad un armadio è emerso un hard disk. Nessuno lo aveva più toccato dall’estate del 2008, e cioè dalla morte del suo proprietario: Esbjorn Svennson, il pianista svedese che parecchi di noi ancor oggi fanno fatica a dimenticare. Eva, la sua vedova, lo esamina e poco dopo prende contatto con la ACT, l’etichetta tedesca che da sempre custodisce la memoria dell’Esbjorn Svennson Trio.
EST, quasi un’endiadi, come direbbero i filologi: un’associazione apparentemente inscindibile, difficile considerare separatamente i suoi componenti legati da una assoluta complementarietà. Ed invece il disco ritrovato rivela una sorpresa: circa 45 minuti di solo piano di Esbjorn. Per di più registrati in casa poche settimane prima della fatale immersione in cui scomparve.
Da tempo circolavano voci su questo piccolo tesoro riemerso: per fortuna non ve ne ho parlato prima, perché i rumours si sono quasi tutti dissolti come neve al sole ora che i file dimenticati sono diventati un album ACT, misteriosamente intitolato ‘Home.S’.

Si dirà: ecco la solita riesumazione di abbozzi, di sessioni di studio casalingo che molti musicisti scomparsi lasciano dietro di sé senza alcuna intenzione di pubblicazione; che invece avviene postuma, nel migliore dei casi per ravvivare la loro memoria, in altri per meno nobili calcoli commerciali.
In questo caso niente di tutto ciò : invece della fluviale improvvisazione di cui si era parlato in un primo tempo, ci troviamo di fronte ad un lavoro composto da ben 9 brani distinti, anche qui enigmaticamente intitolati con la serie iniziale delle lettere dell’alfabeto greco classico. Un’opera compiuta, quindi, e direi anche attentamente strutturata ed impaginata, oltre che molto ben curata anche sotto il profilo acustico (Esbjorn evidentemente aveva dei numeri anche come tecnico del suono…).
L’album quindi si presenta da subito come circondato da un’aura speciale. E già i primi ascolti alimentano l’emozione: colpisce subito il nitore, l’assenza di ogni sbavatura e ridondanza, siamo esattamente agli antipodi del disimpegnato e slabbrato esercizio privato: siamo di fronte ad un lavoro rifinito e concluso.
L’intero disco è permeato da un’avvolgente atmosfera di intensa, febbrile riflessività. Certo, i brani disegnati con sicura nettezza riflettono molto del DNA del trio EST e del suo mondo complesso e variegato che abbiamo conosciuto particolarmente dalle sue registrazioni live. In alcuni squarci riemerge l’Esbjorn jazzman di razza, con evidenti tracce del blues tinge che non lo ha mai abbandonato in tutta la sua carriera.
Si percepiscono anche gli influssi dell’impressionismo musicale europeo, che però mai sfumano in nebbiose vaghezze: la meditatività tersa e limpida di cui si parlava fa da sicuro argine.
Le suggestioni bachiane che già si annunziano fuggevolmente a metà dell’album (‘Zeta’), divengono sempre più evidenti e marcate man mano che ci si inoltra verso la fine: suonerà forse banale, ma il rigore cristallino di ‘Theta’ mi sembra proiettare retrospettivamente sull’intero lavoro un senso di ricapitolazione, di epilogo.
Personalmente mi viene difficile non pensare ad un altro ‘sentiero interrotto’, a cui forse Svennson deve avere spesso guardato: quello di Jan Johansson, altra grande, immatura perdita, anch’essa mai abbastanza rimpianta.
Viviamo in tempi di insensati, ciclopici frastuoni: se cercate un’isola di musica in cui ogni nota è essenziale ed è pensosamente sbozzata da un intenso silenzio, questo è il vostro disco. Milton56
Bella scoperta, grazie
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ascoltate anche Jan Johansson, mi raccomando. Rimarrete stupiti… per esempio:
Milton56
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Sarà fatto, da quello che ascolto merita senz’altro. Grazie.
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