Chet, si ristampa – “At Capolinea” (Red Records)

CHET BAKER – At Capolinea – Red Records (LP)

Chet Baker, trumpet
Nicola Stilo, flute
Diane Vavra, soprano saxophone
Michel Graillier, piano
Riccardo Del Fra, bass
Leo Mitchell, drums

Recorded at Cap Studio, Milano, October 1983
Record engineer, Gianni Prudente
Remix, Giancarlo Barigozzi
Producer, Giorgio Vanni
Restoration and digital transfer from original analogue tapes,
Alessandro Cutolo, Elettroformati, Milano
Remaster, Rinaldo Donati at Maxine Studio, Milano

Tempo di strenne (2). La rinascita della Red Records è stata una delle notizie più corroboranti degli ultimi lustri sotto i cieli jazz della penisola, come un salmone selvatico, in via d’estinzione e controcorrente, lo storico marchio, sotto una nuova egida, ha ricominciato a mettere in circolo il catalogo, opere in LP dal valore storico certificato, oltre che dal valore artistico immutato, se non accresciuto, anche alla luce degli incerti sviluppi dell’arte afroamericana par excellence.

Recensire “Chet Baker At Capolinea” può sinceramente diventare una sorta d’esercizio di stile, si tratta infatti di uno dei dischi jazz più venduti, amati ed ascoltati in Italia di sempre, firmato da un musicista iconico che ha saputo, come pochi altri, trascendere il pubblico di riferimento per accedere ad una zona in cui il genere suonato è una porta, accessibile a chiunque, per accedere ad un mondo poetico dall’impianto drammatico, capace di commuovere, emozionare, evocare ricordi.

Inciso nel 1983, cinque anni prima dell’ultimo volo di Chet dalla finestra di Amsterdam, utilizza come studio di registrazione il Cap Studio nel famoso locale milanese, e si apre con “Estate” di Bruno Martino, in una versione che diventerà per molti versi definitiva. La prima traccia, 12 minuti destinati ad essere consumati ad libitum, rischia di mettere in penombra il resto di un lavoro che costituisce una delle migliori prove discografiche del tardo Chet Baker, qui in vena di solo trombettista, assai più riuscito della media della sua produzione del periodo, grazie anche al contributo al flauto, ed alla chitarra, di Nicola Stilo, un nome da tenere nel dovuto conto quando si parla del jazz di casa nostra.

Se si toglie “Lament”, di J.J.Johnson, che apre con autorità il Lato B) il disco testimonia appunto il livello anche compositivo italiano negli anni ’80, con Stilo che firma “Francamente” e “Pioggia nel Deserto”, mentre è del contrabbassista romano Riccardo Del Frà, amatissimo da Baker, la chiusura dell’opera con la sua “Finestra sul Mare”, esempi di jazz con sensibilità mediterranea, innestata de facto su blues e stilemi d’oltre oceano.

Fisicamente ci ritroviamo in mano un LP d’altissimo artigianato, numerato a mano in edizione limitata, in 5000 copie, ordinabile direttamente presso la Red Records o su varie piattaforme online (prezzi tra i 40 e i 50 euro) con nuove foto proposte in grande formato, liner notes in folio separato di Stuart Nicholson, una delle migliori penne in circolazione, ricche di spunti ed aneddotica, fotografie incollate a mano in copertina. Dal punto di vista sonoro, wow, non c’è paragone con il vecchio cd che in un ascolto comparativo appare piatto e smorto, mentre questo 180 gr. sfrutta tutte le dinamiche possibili, con la tromba che svetta e si fa sussurro limpido, andando dritta al cuore.

Chet is Back, once more.

(Courtesy of Audioreview)

5 Comments

  1. Anni 80′. Palermo. Scuderie di un antico palazzo nobiliare restaurato che guarda il mare. Con il mio amico andiamo, con forte anticipo, al concerto che aspettavamo da tempo. Sotto braccio copia di “Diane” inciso con Paul Bley, splendido album con una “You go to my head” sussurrata da brivido e lacrime. Primi arrivati ci sediamo in solitudine vicini al palchetto (un semplice tavolato con pianoforte, contrabbasso, ecc.), un po’ nervosi e ansiosi e non facciamo che parlare di jazz. Ad un certo punto io noto sotto il pianoforte quello che mi sembra un grosso sacco impolverato e sgonfio. Lo faccio notare al mio amico. Concludiamo che forse è una custodia morbida del contrabbasso (anche se in genere sono rigide). Continuiamo ad immergerci nel discorsi jazz, beviamo qualcosa. Dopo un po’ con nostro stupore e sorpresa vediamo questo “sacco” muoversi, agitarsi, girarsi di lato. A bocca aperta capiamo che era Chet che si era addormentato sotto il pianoforte. Ci alziamo, lui ci nota. Gli indichiamo l’album e ci veniamo incontro. Gli comunichiamo la nostra emozione con poche parole. Chet cortesemente ci concede l’autografo sul disco e ci dice che “sì anche a lui piace molto quel disco”. Cinque minuti, non di più. Indimenticabili. Inizia il concerto. Chet ci dedica con lo sguardo “How deep is the ocean?”. Finisce il concerto. Bellissimo ed unico. Qualche giorno dopo un mio amico fotografo mi regala una foto in primo piano di Chet, scattata durante quel concerto. Non ho più contatti con quel mio amico ma credo che anche per lui questo sia uno dei ricordi più cari della nostra gioventù.

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  2. Anni 80′. Palermo. Scuderie di un antico palazzo nobiliare restaurato che guarda il mare. Con il mio amico andiamo, con forte anticipo, al concerto che aspettavamo da tempo. Sotto braccio copia di “Diane” inciso con Paul Bley, splendido album con una “You go to my head” sussurrata da brivido e lacrime. Primi arrivati ci sediamo in solitudine vicini al palchetto (un semplice tavolato con pianoforte, contrabbasso, ecc.), un po’ nervosi e ansiosi e non facciamo che parlare di jazz. Ad un certo punto io noto sotto il pianoforte quello che mi sembra un grosso sacco impolverato e sgonfio. Lo faccio notare al mio amico. Concludiamo che forse è una custodia morbida del contrabbasso (anche se in genere sono rigide). Continuiamo ad immergerci nel discorsi jazz, beviamo qualcosa. Dopo un po’ con nostro stupore e sorpresa vediamo questo “sacco” muoversi, agitarsi, girarsi di lato. A bocca aperta capiamo che era Chet che si era addormentato sotto il pianoforte. Ci alziamo, lui ci nota. Gli indichiamo l’album e ci veniamo incontro. Gli comunichiamo la nostra emozione con poche parole. Chet cortesemente ci concede l’autografo sul disco e ci dice che “sì anche a lui piace molto quel disco”. Cinque minuti, non di più. Indimenticabili. Inizia il concerto. Chet ci dedica con lo sguardo “How deep is the ocean?”. Finisce il concerto. Bellissimo ed unico. Qualche giorno dopo un mio amico fotografo mi regala una foto in primo piano di Chet, scattata durante quel concerto. Non ho più contatti con quel mio amico ma credo che anche per lui questo sia uno dei ricordi più cari della nostra gioventù.

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