Mario Costa -Chromosome

Se conveniamo che le innovazioni più significative del linguaggio jazz oggi ipotizzabili, piuttosto che nella creazione di “nuove forme”, consistano, plausibilmente, nella capacità di ottenere un equilibrio fra consolidate fonti eterogenee, allora “Chromosome” del percussionista portoghese Mario Costa, è opera che merita di essere segnalata per il suo profilo di novità.

Costa è un giovane musicista, affacciatosi alla ribalta internazionale nel 2010 con le collaborazioni negli albums di Hugo Carvalhais, “Nebulosa” e “Particula” (entrambi pubblicati da CleanFeed ), quindi partecipando all’attività live del gruppo di Emile Parisien, con Michel Portal e Joachim Kuhn, ed alla produzione del cd ” Sfumato” (ACT) ed infine sviluppando ulteriori progetti con Tim Berne, Gabriel Pinto, il violinista Dominique Pifarély ed il sassofonista Andy Sheppard.

Insieme al mondo del jazz, Costa frequenta anche quello della musica tradizonale del suo paese, il fado, dove collabora con compositori contemporanei come Miguel Araujo e António Zambujo ed anima la sezione ritmica della cantante Ana Moura, con la quale ha inciso album e partecipato a centinaia di concerti negli ultimi, tanto da meritare nel 2018 il titolo di musicista dell’anno del Portogallo

Chromosome“(Cleanfeed 2023), accreditato ad un quartetto composto, oltrechè dal titolare, dal trombettista vietnamita/statunitense Cuong Vu, dal tastierista Benoît Delbecq e da Bruno Chevillon al basso, segue di quattro anni il primo album solista  di Costa, “Oxy Patina” (Cleanfeed 2018), con Marc Ducret e Benoit Delbecq, e ne rappresenta uno sviluppo ed un ampliamento.

Nelle parti migliori dell’opera le diverse radici dei musicisti, l’improvvisazione, l’attitudine avanguardista, un’ esuberanza ritmica che attinge ad elementi tardizionali, ed un uso funzionale dell’elettronica, convivono in un processo di reciproco scambio ed arricchimento, dando vita ad un insieme inedito. Lo si può apprezzare fin dai primi due brani, “Adamastor”, che parte quietamente sulle gocciolanti note del pianoforte e si infiamma progressivamente con le percussioni metalliche ed il trainante drive della tromba di Vu, e “Chromosome“, costruita sugli irresistibili intrecci poliritnici del titolare che ricordano esperimenti di David Byrne e Brian Eno di qualche decenni fa. E forse ancora più a fondo in “Moonwalk“, con la sua ritmica segmentata in sequenze progressive che spostano il brano molto lontano dai territori del jazz avvicinandolo ad una forma aliena di dub. In altri brani prevale una profonda vena melodica: “Victoria” sembra trasportare Nino Rota nel cosmo elettronico delle tastiere di Delbecq, “Antipodes” con il suo passo lento e cadenzato dal basso ed il clima notturno spezzato dallo spiraglio luminoso della tromba, “Astrolabe” che affida all’archetto ed alle corde di Chevillon il suo struggente tema centrale,

Altrove il disco si fa più oscuro e meditativo, (“La Grotte, “Chamber music” ) o informale (“Moluccas“) , ed in questi episodi, meno innovativi, l’attenzione deve essere rivolta alle micro variazioni, a sottili sfumature timbriche che rappresentano un altro lato del quartetto.

Un disco che giustifica in pieno il proprio titolo, trasponendo in campo musicale i processi genetici cui allude.

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