«Se tu senti le ultime cose di Coltrane prima che morisse, capisci bene come quella musica fosse prima di tutto una presa di coscienza, e che era quel tipo di coscienza a dettare le forme. Ma visto che era una musica che rifletteva troppo su quello che stava succedendo nel mondo, le corporation decisero di ignorarla, e stabilirono che l’unico tipo di jazz ammissibile era la cosiddetta fusion. Da quel momento in poi, il jazz è diventato praticamente musica da ascensore: il che non significa che non ci siano ancora grandi musicisti che fanno ottimo jazz, solo che la radio e l’industria musicale li ignorano»
Amiri Baraka
Ricorda un altro seguace di Coltrane, il sassofonista Frank Lowe, di aver assistito al film (The Murder of Fred Hampton, 1969) sulla morte della pantera nera, rimanendo impressionato da come, poco prima di spirare crivellato di colpi, quel militante ascoltasse un disco free di culto di Eric Dolphy.
«Gli tesero un’imboscata di notte, mentre dormiva a casa sua. La polizia gli sparò attraverso le pareti e l’assassinò. Quando la telecamera inquadrò la sua stanza, sotto il letto si intravide una pila di dischi. E in cima, sporco di sangue, c’era Out to Lunch di Dolphy! Allora capii che le cose che diceva quella gente e le cose che noi ascoltavamo avevano la stessa origine. Era nei corpi, nel modo di camminare, nell’aria» (citato in Kahn , A love supreme, 2004, p. 185).
Franco Bergoglio, I giorni della musica e delle rose
Beh, contestualizziamo un poco. Sarebbe interessante sapere a che anno risale l’amara constatazione di Amiri Baraka, già LeRoi Jones. Prima di tutto occorrerebbe ben definire la categoria ‘fusion’: io ho un criterio molto semplice, la capacità di sopportazione della sua tipica, tronfia enfasi. Qualche giorno fa, mi sono sottoposto ad uno dei miei soliti ‘esperimenti scientifici’, su Spotify ho trovato ‘Headhunters’ di Hancock e l’ho fatto partire. L’ascolto non sarà durato più di cinque minuti, alla mia età non ci può più permettere di perdere tempo. Quest’estate mi sono inflitto un concerto di Stanley Clarke: come forse qualche lettore ricorderà, dopo qualche minuto ho registrato una sorta di attacco allergico…. Viceversa riscopro con un certo interesse i primi Wheather Report, proprio ieri mi sentivo con attenzione il bistrattato Miles di ‘Live around the world’, molto migliore di altre cose registrate in studio in quegli anni. Grazie al cielo l’ondata ‘fusion’ , quella che ha riempito i registratori di cassa, ha rapidamente saturato molte orecchie (a parte quelle di parecchi musicisti dilettanti su cui certi ostentati esibizionismi strumentali fanno ancora presa, purtroppo) è ampiamente rifluita, persino nel campo dell’easy listening di intrattenimento. Nei suoi ambiti di pubblico – certamente limitati, è sempre stato così – il jazz DOCG ha resistito ed ha proseguito sulla sua strada. Ricordiamo poi che il Coltrane di ‘A Love SUpreme’ è stato capace di valicare i confini del mondo della musica afroamericana, influenzando profondamente anche musicisti di altra estraziione ed imponendosi all’attenzione di un pubblico molto poiù vasto di quello dei jazzfan. Ed oggi in tempi molto magri e difficili per il music business non vedo riproporre in grande stile inediti di Coryell, di Clarke o del più desolante Corea, quelli di Trane invece sì (anche con qualche esagerazione). Black Panther Party: come i Wheathermen biancchi, uno dei più grandi ‘rimossi’ della storia recente americana. a tutti i fan delle varie ‘serie’ poliziesche in cui ogni due per tre si consolida il mito dell’FBI, converbbe ricordare che il ‘programma’ dell’Agenzia per la ‘risoluzione’ del problema Panthers fece da modello per l’altra ben nota operazione della ‘Giunta’ argentina del 1976-1983. Le ‘Pantere’ facevano paura per il loro elevato livello di comprensione politica dei problemi della società americana nel suo complesso (in cui la situazione dei Neri si inseriva come caso esempaalre, come aveva intuito l’ultimo Malcom X) e per la statura intellettuale di molti suoi leaders, di parecchi palmi superiore a quella del politico medio americano di successo: la musica dei Dolphy, dei Coltrante e c. faceva parte integrale della loro identità. E dall’altra parte la vicinaanza era altrettanto sentita: qqualcuno si ricorda veramente cosa c’era dietro il magnifico “Attica Blues” che costò a Shepp una vera e proprio esilio dagli States? 😉. Ad Attica c’era una prigione…. divenuta tristemente famosa… Milton56
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