L’ALTRA META’ DEL JAZZ (?)

Jeanne Moreau e Miles Davis durante la lavorazione di ‘Ascensore per il patibolo’: non sembra di vedere copia della sceneggiatura….

Mai si dica che noi non si raccolga la sfida lanciata dalla lettrice FaMinore (alias Francesca, Francesca Bond….) per evitare di scendere su di un vero campo minato, quello del problematico rapporto tra universo femminile ed ascolto del jazz.

Allineo quindi qualche considerazione personale, piuttosto estemporanea e basata su esperienze che possono avere valore limitato; mi piacerebbe che però il tema potesse svilupparsi in un dibattito più ampio, ovviamente in primis con il coinvolgimento di altre lettrici, che speriamo siano rimaste sinora nell’ombra.

Prima di tutto, una nota di ottimismo: rispetto a parecchi anni fa mi sembra che la situazione sia in evoluzione, e positiva direi. Nelle rare occasioni di concerti, noto una presenza sempre meno sporadica di spettatrici, parecchie delle quali non mi sembrano trascinate in virtuali catene da partner jazzfans in crisi di astinenza da buone vibrazioni a dare una sorta di ‘prova d’amore’ aggiornata e corretta (certo che un paio d’ore di Braxton in luogo della manciata di minutini dell’altra…..). Mi sembra però di poter cogliere però una certa linea di frattura generazionale: le frequentatrici di concerti jazz mi sembrano appartenere a leve più giovani, diciamo che più spesso rientrano nella fascia 30 – 45 anni, che non a quella superiore.
E’ possibile mettere in relazione questa circostanza alla relativa eclissi – quantomeno nel discorso pubblico – di un modello formativo che in passato privilegiava nel profilo femminile le componenti emotive e sentimentali. Ed il jazz non è musica che consenta un affidabile e duraturo approccio per la via di un’ascolto di tipo emotivo. Non si vuole certo dire che esso non sia capace di trasmettere emozioni, anche forti: il punto è che queste passano quasi sempre dal filtro -diaframma dello Stile, e questo ahimè esige un ascolto informato e mediato dalla conoscenza di un contesto di riferimento. Senza contare il fatto che l’habitat in cui a suo tempo si è formato il ‘nocciolo duro’ dell’attuale pubblico jazz – i palasport annebbiati dai lacrimogeni e le avventurose adunate saccopeliste delle prime edizioni di Umbria Jazz – appariva alquanto respingente e poco congeniale se considerato da un’ottica femminile. Anche l’allontanamento di un filone preponderante della musica afroamericana da una dimensione di fruizione che comprenda una componente di corporeità ha poi avuto il suo peso (en passant, sotto questo profilo si presentano viceversa molto interessanti e promettenti gli sviluppi di quella scena londinese che bene ha tratteggiato l’amico Baroni qualche giorno fa).

elaine anderson dancing bis

Festival di Newport 1958: qualcuno ballava…. L’Elaine della foto forse ha ispirato a Paul Gonsalves i celebri, interminabili 37 chorus che fecero sudar freddo Duke Ellington 

E poi purtroppo bisogna fare i conti con la quasi totale scomparsa del jazz dal panorama sonoro quotidiano italiano, aggravatasi negli ultimi 20-30 anni: le sue rare apparizioni, poi, quasi mai sono informate a finalità didattiche, e spesso sono solo momentanee emersioni di musiche di tendenza e di stretta attualità, che, presentate al di fuori di un contesto ragionato, hanno ben poco valore propedeutico. E’ ben difficile quindi maturare ‘per osmosi’ una sensibilità spontanea al jazz.

SI dirà che questi handicap valgono per qualsiasi ascoltatore occasionale, prescindendo dal sesso: ma qui va ammesso che il microcosmo jazzistico è contraddistinto da un certo spirito di setta e da un approccio iniziatico che generalmente attraggono e seducono più facilmente il mondo maschile: altrettanto dicasi per la mitologia ed il dandysmo che il jazz ha emanato a profusione nelle fasi più calde e tumultuose della sua storia.

E proprio a proposito di sette ed iniziazioni, appare evidente che l’ingresso in questo piccolo mondo è affidato soprattutto alla guida ed al supporto di un insider che si prenda la briga di consigliare ed indirizzare le prime esperienze di ascolto di una volonterosa neofita. E qui cospargiamoci il capo di cenere, ammettendo senza riserve la scarsa attitudine al proselitismo ed alla didattica del jazzofilo medio: tendiamo tutti a dare per scontate ed acquisite molte cose (in primis la piana approcciabilità della musica che costituisce la nostra attuale passione), rimuovendo e dimenticando quelle nostre esperienze iniziali che ben potrebbero costituire un’attrattiva via d’accesso a questa strana musica anche per nuove adepte. Che a loro volta dovrebbero avere la pazienza e la determinazione necessaria a prender in mano qualche buon libro, ahimè non sempre di facile reperibillità: per le molto affaccendate, sepolte nei meandri del sito di RAI RadioTre ci sono anche quelle piccole perle delle puntate di ‘Body and Soul – Storia semiseria del Jazz’ , rimpianta esperienza di divulgazione di alto livello, non disgiunta da una certa fluidità discorsiva.

In attesa di capire se sono incespicato o meno un qualche ordigno ‘made in Me-Too’, rinvio ben volentieri ad un prossimo futuro l’altra querelle evocata dalla nostra Francesca Bond: Arcadia versus Avanguardia….. Milton56

Ancora ‘Ascensore per il patibolo’ di Louis Malle: l’ansioso vagabondaggio di Jeanne Moreau nella notte parigina, accompagnato dalla tromba di Miles Davis. Secondo molti qui è iniziata la Nouvelle Vague

21 Comments

  1. Caro milton 56, ti ringrazio per questa opportunità che mi dai. Mi chiamo Valeria e rientro nella categoria delle donne che hanno superato i 40 e che hanno la passione per il Jazz. Nella mia esperienza c’è un’iniziazione morbida e indolore fatta di note ascoltate in casa. Ho respirato Jazz sin da piccola non manifestando mai alcun interesse per il genere se non per il fatto che il Jazz era “casa”. Col tempo e le vicissitudini dolorose della mia vita, mi ci sono rifugiata. Il Jazz esprimeva i miei stati d’animo e senza libri o iniziatori, ho intrapreso il mio percorso. Il mio Jazz è passato dalle mie vene prima di essere contestualizzato e compreso a tutto tondo. Oggi parlo di Jazz e lo racconto a uomini e donne. Lo propongo come un rifugio, lo porto all’attenzione altrui come forma di libertà espressa in musica e trasmessa per alleviare. Il Jazz per me è un viaggio di introspezione. Leggo con piacere Tracce di Jazz e trovo quotidianamente materiale per approfondire e trasmettere a mia volta. Complimenti

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    1. Cara Valeria, in primo luogo una questione pratica: il tuo intervento ci ha molto intrigato (uso il plurale perché parlo anche a nome degli altri complici di questa sgangherata impresa, che, in un’ottica di condivisione basata sui rispettivi diversi talenti, mandano avanti il sottoscritto per via dell’inscalfibile faccia di tolla che mi ritrovo). “Oggi parlo di jazz a uomini e donne”: questo in particolare ci ha colpito, se vuoi scrivici alla mail del sito (traccedijazz@libero.it) per un contatto più diretto e personale. Passando alle questioni di massimi sistemi, tu hai avuto una fortuna rara per quanto riguarda il rapporto con il jazz: quello di averlo vissuto come una ‘musica quotidiana’ in un periodo altamente formativo, in cui si è quantomai ricettivi anche senza rendersene conto. Hai quindi maturato una tua spontanea ed implicita ‘competenza di ascoltatore’, che al momento giusto è riemersa in presenza di una motivazione più consapevole e determinata. La mancanza di quest’approccio è il più grande handicap alla diffusione ed accettazione di questa musica in questo Paese. Ci sono poi delle barriere culturali deliberatamente costruite, ma il discorso ci porterebbe lontano e va ripreso altrove e con più calma. Continua a parlare, mi raccomando, spesso accettiamo le nuove esperienze più per la fiducia ed il fascino ispirati da chi ce li propone, che per attrazione intrinseca alle medesime. Milton56

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  2. Cara Valeria (e anche caro milton56),

    io invece sono stata veramente “iniziata” al jazz, con abile gradualità, da mio marito, quando neanche stavamo ancora insieme, quindi parlo di oltre trent’anni fa. Ho cominciato proprio dall’ABC. E poi sono andata ad ascoltare diversi artisti quando ancora, ogni tanto, se ne presentava l’occasione. Alcuni erano famosi, e giustamente (non quelli che qui, altrettanto giustamente, vengono talvolta stigmatizzati con fin troppa delicatezza).
    Quando invitiamo qualcuno, mettiamo su sempre un disco o un cd di jazz, che quasi immancabilmente viene accolto con indifferenza (tipo sottofondo) o addirittura fastidio, anche da amici “colti” che amano la musica, la frequentano dal vivo, ecc.
    Anche quando pubblico qualcosa nel mio blog, i “mi piace” si contano sulle dita… di un dito!
    Tutto potrebbe essere molto scoraggiante, ma non per me: io proseguo.
    Qui ho trovato un rifugio accogliente, elasticità, apertura, correttezza e… attenzione: lo dimostra il fatto che il mio spunto, che era buttato lì un po’ di sguincio in un commento a un altro articolo, non è caduto nel vuoto. Non me lo sarei mai aspettato, perciò…
    … grazie, milton56 (credo di essere poco più giovane di te)!
    Il jazz non riesco proprio a raccontarlo, Valeria, e neanche ne ho voglia. Lo tengo per me, per i miei ascolti casalinghi. Quando il marito, che nel frattempo ha un po’ perso la testa per la musica barocca, mi angoscia più del dovuto con organi, arpe, clavicembali (tutti strumenti che non sopporto, quasi fisicamente), io lo imploro: per favore, metti un po’ di jazz!
    – milton 56: a proposito di “il jazz non è musica che consenta un affidabile e duraturo approccio per la via di un’ascolto di tipo emotivo. Non si vuole certo dire che esso non sia capace di trasmettere emozioni, anche forti: il punto è che queste passano quasi sempre dal filtro – diaframma dello Stile…”, spero che intendessi qualcosa tipo “romantico, sentimentale”, cioè “melodioso” come più o meno lo definiva Paolo Conte (“non si capisce il motivo”), perché di sollecitazioni emotive il jazz ne dà molte, da quello delle origini al free più scatenato (lì, ho ancora qualche limite, e aborro xilofoni e simili).
    Non facciamoci fregare da quelli che dicono, almeno a proposito di quello più recente (ma perfino Tristano, tanto per dirne uno), che è diventata una musica cerebrale. Oltretutto, lo dicono gli stessi a cui non va bene manco quello che, volendo, si potrebbe chiamare “de còre”, dei vecchi tempi.. NON è così, e io lo so perché non sono una persona celebrale, razionale, metodica ecc.
    Io, sin dalla mia “iniziazione”, sono sempre rimasta “spontanea” (infatti sono una zappa, non mi “acculturo”, non ho metodo) e me la cavo un po’ perché ho intuizione, molto orecchio, colgo le “citazioni”, indovino gli artisti quando il marito mi fa gli indovinelli…
    Scusate la prolissità.
    P. S. Ora mi tocca andare ad acchiappare il vecchio commento per verificare se davvero avevo lanciato l’altra sfida “Arcadia versus Avanguardia”, ché me pare un po’ strano 😀
    Francesca Bond (il mio nome vero è sul blog, sfaticato!)

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    1. Ho ritrovato il mio commento: la querelle era tra “Arcadia calligrafica e intellettualismo da accademia”, di cui non capivo il significato, e non lo capisco ancora. Inoltre, non pensavo che per intellettualismo ecc. intendessi Avanguardia (esiste?). Ma aspetto il prossimo post!

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  3. Ed ora a noi due, Francesca Bond (mi piace di più 🙂 ). Innanzitutto, sentiti complimenti a Mr.Bond, deve possedere notevoli talenti di persuasore occulto :-), gradirei qualche lezione privata. Quanto alla sua ‘sbandata’ per la musica barocca, non mi stupisce minimamente: esistono sotterranee e ben precise affinità con il mondo del jazz nelle prassi compositive ed esecutive, oltre che nell’atteggiamento verso la creazione musicale e nel rapporto con il pubblico (ovviamente parlo di quello contemporaneo ai Bach, agli Haendel, ai Vivaldi e via discorrendo, quello attuale ha per forza di cose un atteggiamento diverso). Parecchi anni fa anch’io ho ascoltato molta musica barocca, e dal vivo per giunta: ora è anch’essa un continente sommerso del paesaggio musicale italiano, e per ragioni ben precise. La c.d. ‘scuola filologica’ che molti meriti ha avuto nel riportare alla ribalta la musica antica per un breve periodo intorno alla metà degli anni ’80, ha imposto un ritorno alle fedeli riproduzioni degli strumenti per cui era stata concepita: strumenti che spesso presentavano limitazioni tecniche che l’orecchio moderno non è più disposto ad accettare in nome di una perfezione esecutiva che è diventata un valore assoluto solo successivamente. Ogni epoca ha a disposizione i suoi arnesi per la musica, figli delle tecnologie disponibili e consoni al paesaggio sonoro in cui dovevano inserirsi: il ‘600 ed il ‘700 avevano a disposizione le trombe senza pistoni di precaria intonazione, ed in mancanza dei primi ed imperfetti fortepiani che appariranno verso la fine del ‘700 bisognava contentarsi dei clavicembali, del resto più che consoni ai raccolti ambienti in cui si faceva musica a quel tempo. Comunque, se ti può consolare, anch’io ho un rapporto problematico con il clavicembalo… E dal mondo di creazione artigianale e di elaborazione collettiva della musica barocca spicchiamo un piccolo balzo ad un’altra questione: il jazz non è certo una musica ‘cerebrale’, e nel suo campo le creazioni ‘in vitro’ hanno via brevissima (in altri campi musicali non avviene altrettanto, invece): ma questo non vuol dire che sia una musica ‘ingenua’ ed inconsapevole dei suoi processi creativi e di evoluzione interna, e questo sin dalle prime fasi della sua storia. Le teorie sulla creatività irriflessa e primitiva lasciamole ad ambigui ed infidi tipetti alla Panassiè (in Italia a suo tempo ci trovavamo convintamente anche personaggi come Julius Evola, tanto per dirne una…). Infine, e per tagliar corto con il pistolotto, dal canto mio sono fermamente convinto che il jazz non sia nemmeno una musica ‘neutrale’: pur nella grande varietà delle sue infinite correnti e scuole, porta impressi nel suo DNA dei valori estetici ben precisi e tali da entrare inevitabilmente in conflitto con mondi e culture ispirati ad altri valori confliggenti, che in Italia in particolare sono ancora particolarmente forti e radicati per precisi motivi storici (ed i relativi rimandi non sono così ovvii e scontati come si potrebbe pensare). Di qui molte indifferenze ed insofferenze da te sperimentate anche in persone apparentemente ‘insospettabili’. Complimenti per i blindfold tests (cfr. quelli del ‘Down Beat’) di Mr.Bond, in America anche jazzmen pluridiplomati e con ricchissimi carnet di collaborazioni sul palco incappano spesso in topiche epiche: in Italia saggiamente non ci si pensa nemmeno ad organizzarli, ne verrebbero fuori numeri di varietà degni di ‘Specchio segreto’ o ‘Scherzi a parte’ ;-). Milton56

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    1. Anche a me piace la musica barocca, intendiamoci, e anche io l’ho spesso ascoltata dal vivo. Perfino, a volte, eseguita con gli strumenti originali dell’epoca. In generale, e soprattutto, prediligo decisamente la musica da camera a quella sinfonica, a parte rare eccezioni (un po’ come, in letteratura, ormai mi sono data ai racconti).
      Tutta la musica da camera è ormai sommersa, è diventata “di nicchia” e non capisco perché. Sembra (forse solo a me?) soffrire anch’essa della diffidenza riservata al jazz.
      Non sapevo di queste affinità del barocco con il mondo del jazz, ma credo sia un discorso un po’ complicato per me.
      Non so se ho frainteso il concetto di “perfezione esecutiva” di cui parli. So che negli ultimi decenni (o anni?), un lungo lavoro di studio, faticoso e approfondito, ha consentito di “rivitalizzare” questo tipo di musica tramite un – per me benvenuto e apprezzato – “recupero” dell’originale modo di suonarla, che è molto più potente di quello al quale per anni e anni siamo stati abituati a sorbirci, un po’ manierato, noioso e monotono. Un mio amico musicologo me ne aveva parlato in modo più formale, ma così, di mattina presto, non riesco a ricostruire la sua spiegazione.
      Forse si tratta della “scuola filologica” alla quale ti riferisci? Se sì, sono contenta di questa “imposizione”, ma solo in termini di esecuzione. La faccenda degli strumenti è complessa e ci capisco poco.
      Per passare di nuovo al jazz, spero che nel negare che sia una musica ingenua tu non ti riferissi alla spontaneità della mia personale esperienza. Sulla supposta “neutralità” non so cosa dire perché è una cosa di cui non ho mai sentito parlare.
      Sui “precisi motivi storici (e i relativi rimandi non sono così ovvii e scontati come si potrebbe pensare)”, vorrei capire meglio cosa intendi. Lo so, faccio troppe domande…
      Ahahah, i blindfold test sono solo divertentissimi siparietti casalinghi. Mr Bond mi mette alla prova sperando di prendermi in castagna, ma non ci riesce quasi mai (lui è più metodico e studioso). Più difficili sono quelli con la musica classica, dove ci si limita a cercare di indovinare almeno il compositore.
      Infine, azzardo una piccola, affettuosa protesta, e solo perché – trovandomi bene qui con voi – vorrei davvero che fosse per me un’occasione per decifrare la mia stessa propensione “non teorica” al jazz: non ho problemi coi pistolotti (che faccio anche io, come avrai notato) ma molti punti del tuo li ho trovati o troppo tecnici, o vaghi, o teorici. Limite mio, sicuramente.
      Pardon, e bonjour!

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    2. “Precisi motivi storici & rimandi non ovviii”: imitiamo i supremi reggitori di oggi e liofilizziamo il tutto in un tweet. La tradizione musicale italiana – alta e bassa – è da secoli ormai centrata sulla vocalità, mentre il jazz è una musica eminentemente strumentale. L’italiano medio è quindi abituato a ‘possedere’ la musica tramite la cantabilità: il jazz è in gran parte refrattario a questa pulsione di possesso. L’epurazione più metodica e radicale del jazz dal paesaggio musicale italiano si è consumata più che nel ben noto Ventennio nel secondo dopoguerra, con la calcolata creazione di un filone di musica leggera di consumo (Sanremo) concepito in espressa contrapposizione alle musiche americane penetrate negli anni ’40. Massimo e potente artefice di questo progetto è stata la RAI degli anni ’50 e ’60, quella che ha insegnato l’italiano agli italiani. Fine tweet. Milton56

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    3. Ho ritrovato la spiegazione del mio amico musicologo, che si riferiva in particolare a Vivaldi ma che può essere estesa alla musica barocca in generale:

      “Come probabilmente sai [invece non lo sapevo], a Torino abbiamo la più ricca collezione di manoscritti vivaldiani (Fondo Foà-Giordano della Biblioteca nazionale universitaria): lo studio meticoloso di queste fonti, grazie fra l’altro al contributo del Centro di studi musicali piemontesi fondato da Alberto Basso, ha portato a una generale revisione e rivalutazione dell’opera di Vivaldi. Diversi ensemble specializzati nell’esecuzione di musica barocca, formati e guidati da musicisti delle ultime generazioni (Ottavio Dantone, Diego Fasolis, Rinaldo Alessandrini, Simone Toni e altri), si sono dedicati alla riscoperta di Vivaldi e hanno proposto interpretazioni della sua musica che si discostano alquanto da quelle “tradizionali” – quelle che avevano indotto Stravinskij a sentenziare: Vivaldi ha scritto trecento volte lo stesso concerto!
      Quindi, come dici tu, oggi (finalmente) Vivaldi viene eseguito come si deve.”

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  4. Per mettere ordine alla discussione e e far comprendere facilmente il significato e la pregnanza della musica jazz nella realtà quotidiana non posso che citare il famoso giocatore di baseball nonchè appassionato jazzofilo Yogi Berra:”Il 90% di tutto il jazz è per metà improvvisazione. L’altra metà è la parte che il musicista suona mentre gli altri fanno qualcosa che non hanno mai suonato con nessuno che ha provato quella parte. Quindi, se suoni la parte sbagliata, è giusto. Se si suona la parte giusta, potrebbe essere giusto se la si suona abbastanza male. Ma se lo suoni troppo bene, è sbagliato.Chiunque capisca il jazz sa che non puoi capirlo. È troppo complicato ”
    Facile no ?

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  5. Ahahah, bellissima, e – in fondo – conferma quello che dicevo ieri. Quel poco che capisco e sento non lo posso spiegare. Complicato e facile! Me la segno, così alla prossima occasione gli ospiti li rimbambisco del tutto con la declamazione 😀

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    1. “Parlare di musica è come ballare di architettura”: eppure bisogna pur farlo, pur con la consapevolezza dei limiti della cosa. Primo, per render meno volatile l’impronta della musica su di noi; secondo, per condividerla con gli altri, fatto per me fondamentale. Milton56

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    1. per carità, non farci credito di competenza accademica che non ci appartiene. Ho appena risposto il metal detector per le mine, non trovo più i pistoloni da duello (perché di questo passo finiamo dietro il muro di un convento all’alba😉). Milton56

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    2. E che è colpa mia se conosco musicologi esperti? Tra l’altro,non è affatto un accademico. Ha lavorato per decenni alla stesura dell’Enciclopedia della musica di Utet. E so bene che non siete accademici manco voi. Scusa, io sono una bella rimbambita: me vòi strazia’ co’ gli enigmi? Metal detector per le mine, muro di un convento all’alba.
      Vabbè, io ho i miei limiti, li ho dichiarati, et bon, pazienza:

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