L’AVVOCATO DEL DIAVOLO…..

Luca Signorelli, ‘La Predicazione dell’Anticristo’, particolare
Beh, stiamo iniziando all’insegna dell’effettaccio di grana grossa, confessiamolo…. In realtà, il c.d. Avvocato del Diavolo è un distinto signore, molto versato in diritto canonico e soprattutto nelle cose del mondo guardate con il più freddo disincanto, il quale nelle cause di beatificazione ha il compito di avanzare dubbi ed evidenziare le zone d’ombra in vita ed opere di chi viene proposto alla gloria degli altari. C’è chi lo fa molto bene questo mestiere, dal momento che anni fa la causa di canonizzazione di un pontefice fu bloccata per più di un anno dalle deduzioni di uno di loro, che si rivelarono ben più sottili ed imprevedibili di quanto ci si aspettava (oddio, anche l’idea di beatificare un Papa… mah!) .

Letta la coinvolgente e partecipata recensione dell’amico Andbar relativa all’album ‘Volver’, realizzato nel 1986 da Enrico Rava con Dino Saluzzi, Furio di Castri, Harry Pepl e, dulcis in fundo, Bruce Ditmas, ora tocca a me il ruolo del seminatore del dubbio radicale. Guarda caso, infatti, giusto un mesetto fa ho sentito raccontare la curiosa storia di questa sessione direttamente dalla voce di Rava. Anzi, in una mattinata in cui l’ironica capacità affabulatoria del neo cavaliere ha fornito una delle sue migliori prove, direi che il racconto dei retroscena di questa incisione è stato quasi il ‘pezzo forte’.

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Il sanguigno Dino Saluzzi…..

Procedo a memoria, spero di rendere quantomeno il senso della storia. Innanzitutto, la sessione inizia con il più classico degli imprevisti jazzistici: il batterista inizialmente scelto (non ricordo chi fosse) all’ultimo minuto risulta indisponibile. Da leader consumato, Rava apre l’agendina ed ottiene in ‘zona Cesarini’ la partecipazione di Bruce Ditmas, suo compagno di vecchia data e jazzman ortodosso. Il gruppo è molto ‘assortito’ sia per esperienze musicali precedenti che sotto il profilo culturale e linguistico. A Rava, che parla correntemente sia l’inglese che lo spagnolo, tocca da subito un ruolo di mediazione, che si rivela non semplice. Saluzzi ha in mente un ben preciso accompagnamento ritmico per alcuni suoi brani di tradizione argentina: vuole una pulsazione quanto più possibile regolare e quadrata, e soprattutto contenuta e smorzata in volumi e dinamiche. Sin da subito Ditmas non si sintonizza su questa lunghezza d’onda, e procede sistematicamente in levare da buon jazzista, senza nemmeno lesinare sul volume. Cresce una certa freddezza tra Saluzzi e Ditmas, che non tarda a trasformarsi in una vera e propria insofferenza reciproca. Le ore passano nel costoso studio noleggiato da ECM senza che venga registrato alcunchè, e cala la sera senza che si sia riusciti ad imbastire nemmeno un’accettabile take di prova: Ditmas e Saluzzi, ben lungi dal comunicare tra loro, non riescono nemmeno a frenare velenose frecciate reciproche, inasprite anche da ruggini e gap culturale argentino – yankee (siamo nel 1986….).

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… ma neanche Ditmas sembra una mammoletta….

Di fronte alla prospettiva di un clamoroso forfait della seduta, Rava mobilita tutte le sue risorse diplomatiche, mettendo anche in campo la sua maturata esperienza sia del mondo sudamericano che di quello anglosassone. La notte trascorre in una spola ininterrotta tra le camere d’hotel del bandoneista e del batterista, a ciascuno dei quali viene dipinto un ritratto dell’altro abilmente volto a smussare gli angoli ed anzi a creare un certo interesse per supposti lati nascosti delle rispettive personalità umane e musicali.

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Un Rava d’antan, ancora ‘appiedato’. Non credo che le lettrici se ne dorranno più di tanto…. 

Al levare del sole, un Rava visibilmente provato da una notte faticosa ed insonne assiste ad un miracolo insperato: tra l’americano e l’argentino è scoccato un quasi idillio, scambi di convenevoli e complimenti quasi imbarazzanti accompagnano la prima colazione e, soprattutto, l’ingresso in studio. Il produttore Eicher appare comprensibilmente sollevato, la giornata inizia all’insegna di un insperato fervore. Saluzzi per l’occasione ha portato con sé un prezioso bandoneon antico: mentre prende posto davanti al microfono il delicato strumento cade rovinosamente a terra. L’argentino sibila a mezza bocca ed in stretto accento pampero: “Ma allora porta PURE iella!! (termine originale differente, N.d.R.)”. Ditmas, che, pur non capendo lo spagnolo, ha afferrato l’intonazione della frase, si rivolge perentoriamente a Rava: “Enrico, che cosa ha detto?!?”. Il nostro abbozza un sorriso stremato e disperato…. “ENRICO, COSA HA DETTO???”. Un silenzio carico di tensione cala nuovamente sullo studio. Il tempo passa e non si batte un chiodo, la situazione si fa disperata. Il chitarrista Pepl fa partire un‘accordo a caso, giusto per infrangere il gelido silenzio. Eicher lascia la cabina di controllo e piomba in studio tra i musicisti e con fervore entusiasta: “Bello, bellissimo quell’accordo! Un ottimo punto di partenza per sviluppare finalmente qualcosa, partite da lì. Dai!”. Manco a farlo apposta, l’austriaco non si ricorda nemmeno vagamente quello che gli è uscito a caso dallo strumento……

I ricordi di Rava registrano successivamente uno stentato e sofferto lavorio sui materiali, gravato dalla totale incomunicabilità tra bandoneista e batterista. “Non dico certo che è il mio disco che amo di più, ma in qualche modo l’abbiamo finito. Che dire? Esiste, e già non è poco, date le premesse”, conclude filosoficamente Rava.

Eppure , come vale a dimostrare il pezzo dell’amico Andrea, anche un album dalla gestazione così problematica e tribolata ha trovato una sua via per il mondo, toccando a distanza di tanto tempo ascoltatori lontani e lasciandosi alle spalle intenzioni, emozioni e negatività dei loro autori. Un’ennesima riprova dell’autonomia e dell’alterità dell’opera rispetto al creatore, sorprendente paradosso particolarmente evidente nel campo della musica. Milton56

Rava è uno che può consentirsi un gran lusso, soprattutto di questi di tempi: quello di non prendersi del serio….. 1974, in uno studio RAI (!!!!) 

 

 

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