Newport, estate 1958… suona la big band di Ellington. Non avevano l’obbligo di mascherina, loro.. (per fortuna)
Eppur si suona, e tutto sommato c’è da stupirsi, pensando alla ridda di ostacoli, cautele, restrizioni da superare per poter far ascoltare un po’ di musica dal vivo. Evitiamo di evocare la ‘resilienza’, parola-prodotto che non si sa bene cosa voglia dire, ma comunque suona bene e ‘fa un sacco tendenza’, per dirla alla Verdone. Ma è un fatto che c’è una certa volontà di ‘gettare il cuore oltre l’ostacolo’, come si diceva nella cavalleria d’una volta.
Intendiamoci, questo sforzo di rinascita è tutt’altro che uniformemente diffuso, parliamo di isole in un vasto mare di silenzio, ovviamente i cartelloni sono stati assemblati in corsa accaparrandosi quello che la tuttora traumatizzata scena del jazz italiano poteva offrire ‘hic et nunc’. Va anche detto che in molti casi si è puntato sul sicuro, volendo conseguire una risposta di pubblico netta e visibile, finalità che nel frangente attuale va ben oltre l’ovvio obiettivo di raggiungere un’auspicabile copertura dei costi (dubito che si possa andare molto al di là, visti i tempi e gli oneri straordinari da affrontare): insomma, il cuore potrà anche volare al di sopra dell’ostacolo, ma cervello e soprattutto portafogli no. Mettiamo quindi tra parentesi e rinviamo ad un futuro più ‘normale’ le nostre ben note riserve sulla piega che ormai da anni hanno preso i nostri festival estivi, è importante ricominciare ad ascoltare musica vera, quella creata in relazione diretta ed immediata con un pubblico.
Giusto per non cadere nel solito melenso unanimismo, consentitemi però di evidenziare solo alcuni concerti che riflettono scelte non scontate e lontane da quelle opzioni che consentono di ‘vincere facile’ al botteghino, e che quindi si pubblicizzano da sole. Credo che così renderemo anche un più utile servizio ad organizzatori che hanno osato di più in termini di originalità, lo meritano ancor di più in momento così difficile.
Un Eternal Love in gran spolvero, qui c’è Alexander Hawkins al piano…
Pescara è una delle culle del jazz in Italia, la prima edizione del suo festival rimonta se non sbaglio al 1969. Il Festival abruzzese è stato tra i primi a lanciarsi in avanti, forte anche del suo bell’anfiteatro del Parco D’Annunzio-Flaiano (… mai vista coppia peggio assortita), struttura ideale per le condizioni attuali di distanziamento. Il 12 luglio invidierò caldamente agli amici pescaresi l’Eternal Love di Roberto Ottaviano, forte di Marco Colonna ai clarinetti, Giorgio Pacorig al piano, Giovanni Maier al basso e Zeno De Rossi alla batteria….: un gruppo che suona bene già sulla carta (routine e cliches appaiono già fuori dalla porta) , e che sarebbe bello sentire anche in altre occasioni e luoghi.
Gli alambicchi dell’alchimista D’Andrea fumano sempre …..
Le Settimane Musicali di Stresa sono una prestigiosa (ed anche un tantino elitaria) stagione concertistica, una volta dedicata alla musica da camera, ma che da qualche anno ha aperto anche a proposte jazzistiche. Il 18 ed il 19 luglio assisteremo ad un ‘uno-due’ degno di match pugilistici passati alla storia: l’ Uno è il trio di Enrico Pierannunzi, che presenta un suo omaggio al mondo di Fellini. Il Due è una rara ed imperdibile occasione di ascoltare dal vivo l’ottetto di Franco D’Andrea, supportato anche da DJ Rocca. Formazione affiatatissima in studio, un vero laboratorio alchemico, come mi venne da definirlo tempo fa; il materiale sarà tratto dai due album ‘Intervals’. A parte l’oggettiva rilevanza delle due figure singole – ormai due pietre miliari della storia del jazz italiano -, e senza con ciò istigare derby alla Coppi vs.Bartali, avremo comunque una più che rara occasione di vedere a confronto ravvicinato due mondi musicali complessi e molto diversi tra loro per ascendenze ed inclinazioni maturate in carriere sviluppate ormai in decenni (e tra essi alcuni dei migliori di quelli trascorsi dalle nostre parti).
Un Pierannunzi sottotitolato in coreano…
Fano Jazz by The Sea, altri irriducibili che non hanno perso un attimo a sfruttare le prime brecce apertesi per la musica dal vivo, forti anche loro di una sede ideale non solo per atmosfera e raccoglimento, ma anche per ottemperare alle vigenti disposizioni di sicurezza, la bella Rocca Malatestiana. Nel programma di estensione ed articolazione identica a quella degli anni scorsi, spicca la serata con il gruppo di Rosario Giuliani, con Piero Lussu al piano, Dario Deidda al basso e, dulcis in fundo, Roberto Gatto alla batteria. Giuliani, primo vincitore del premio Massimo Urbani, presenterà un programma di brani jazzistici che hanno per fil rouge il tema dell’amore: niente sentimentalismo, però, si annunziano composizioni che rievocherannno molti grandi del jazz che ci hanno lasciato, da Ellington a Mingus, da Hargrove al nostro Tamburini.
‘Love in translation’ in studio, forte del contributo del vibrafono di John Locke
E siamo arrivati a fine luglio, con Udin&Jazz che a Grado il 31 luglio ci presenta un classicissimo del jazz italiano, il quintetto ‘Wanderlust’ di Fresu, con Tino Tracanna ai sax, Roberto Cipelli a piano e tastiere, Attilio Zanchi al basso ed Ettore Fioravanti alla batteria. Una formazione in gran spolvero (tra l’altro di non frequente ascolto), ma direte voi, dov’è il brivido? C’è un ospite, Filippo Vignato con il suo trombone: ho avuto la fortuna di sentirlo un paio di volte dal vivo nelle situazioni più diverse, e vi posso garantire che certamente sarà un ospite molto ingombrante, anche per i rodatissimi veterani che lo accompagnano. Sempre a Grado, il giorno successivo una vera chicca: Francesco Cafiso ed il suo quintetto ‘Confirmation’, Alessandro Presti alla tromba (occhio..), Andrea Pozza al piano, Aldo Zunino al basso, Stefano Bagnoli alla batteria. Qualche lettore con i capelli grigi avrà già mangiato la foglia: si evoca la gigantesca figura di Charlie Parker, perseguitato dalla iattura anche a distanza di una secolo esatto dalla nascita. Ma il più irriducibile dei parkeriani non ha mancato all’impegno e, diciamolo, solo un fuoriclasse come lui poteva assumersi il rischio di ritessere i fili del bebop, che ancora oggi rimane in gran parte una ‘rivoluzione interrotta’. Chapeau per coerenza, e per la raffinata band riunita. A concludere la serata del 1 agosto, seguirà Stefano Bollani in solo con la sua rielaborazione delle partiture dell’originale musical rock ‘Jesus Christ Superstar’, che conobbe una brillante versione cinematografica che molti del mio evo ricordano ancora.
Un Cafiso ancora imberbe ad Umbria Jazz 2004 impartisce una lezione di stile e di blues feeling che andrebbe ancora meditata: il nostro è andato ancora più avanti. Sorry, mancano i credits di questo emozionante ‘All Blues’
E non poteva mancare all’appello la poderosa macchina di Crossroads, il festival-galassia emiliano che si sta organizzando in corsa tuttora, ma già propone appuntamenti intriganti: il 29 agosto a Correggio appaiono i ‘Floors’, sigla un po’ anonima dietro cui si nascondono tre personaggi che anonimi non lo sono e non lo saranno per niente: Francesco Diodati alla chitarra, Francesco Ponticelli al basso ed elettroniche ed ancora Filippo Vignato al trombone. Oltre a rappresentare una bel campionario della ‘meglio gioventù’ jazzistica italiana, questo gruppo si presenta sin d’ora molto intrigante sia per l’originale organico, sia per la marcata statura creativa di ciascuno dei componenti. Altra data da segnare in agenda.
La ‘Meglio Gioventù’ non è passata inosservata neppure a Londra, con un ingaggio al Vortex Club
Settembre appare lontano, soprattutto di questi tempi: ma sin d’ora incrociamo le dita perché nulla ci privi del formidabile quartetto di Ambrose Akinmusire (Fabian Almazan piano, Matt Brewer al basso e Justin Brown alla batteria), annunziato per il 16 settembre, sempre a Correggio, ma stavolta nel bel Teatro Asioli.
Stay tuned, c’è il rischio di qualche altra (bella) sorpresa. Milton56
Grazie per questa stupenda selezione di “emozioni”
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