CONSIDERAZIONI DI UN IMPOLITICO – 2. RI-ASCOLTARE

Rieccolo, l’Impolitico. Stavolta di nuovo in clausura: qui in Lombardia la gravità della situazione è molto vicina a quella di marzo – aprile, ma il morale ahimè è molto più fiacco ed incerto, con molte implicazioni pratiche nella vita quotidiana.

In questi lunghi giorni silenziosi che ci attendono, nemmeno allietati dalla luce di una primavera incipiente, tra molte altre cose viene alla mente il nostro rapporto con la musica, che potrebbe costituire una grossa risorsa per parecchi.

A quella dal vivo abbiamo dovuto rinunziare già giorni fa: le argomentazioni sviluppate in ‘L’Ultimo Spettacolo’ (https://traccedijazz.com/2020/10/30/l-ultimo-spettacolo/ ) mi inducono a pensare che la privazione sia destinata a protrarsi parecchio al di là anche del termine di periodi di quarantena rigida ed assoluta. Oltre alla sempre attuale strategia di togliere motivazione agli spostamenti esterni delle persone anche in periodi di ‘chiusura soft’, c’è obiettivamente da fare i conti con apprensioni e timori del pubblico che già da tempo hanno aperto grandi vuoti in platee già falcidiate dagli standard di distanziamento, rendendo quantomai problematico il lavoro degli organizzatori .

Occorre rivolgersi quindi alla musica registrata, fisica o liquida che sia. Ma se l’Atene della musica sul palco piange, nemmeno la Sparta della discografia ride. Passata una prima fase dell’era Cov19 in cui si è paradossalmente assistito ad un insolito fiorire di pubblicazioni, quasi a ribadire una reazione alla privazione di un rapporto diretto ed immediato con il pubblico (difficilmente rinunziabile nell’universo jazzistico), ora si comincia ad assistere ad un assottigliarsi delle nuove proposte persino su piattaforme web come Spotifiy o Bandcamp, sino a poco tempo fa ancora ricche di offerte che solo in parte comprendevano materiale d’archivio. Sta arrivando l’onda lunga del fermo dell’attività degli studi di registrazione, senza contare che molte etichette stanno comprensibilmente rinviando e congelando la pubblicazione di lavori che hanno rappresentato consistenti investimenti che si teme di mandare allo sbaraglio in un mercato terremotato da imprevedibili anomalie di produzione e distribuzione dei supporti fisici (che nel campo del jazz hanno ancora un ruolo importante, considerate le esigenze del pubblico hardcore e le strutturali inadeguatezze delle piattaforme di streaming di fronte alle necessità informative che si porta con sé una musica come il jazz).

Ed allora che fare? In primo luogo mettere da parte quella bulimia di ascolti sempre nuovi e diversi (e spesso anche casuali) che è stato l’imperativo categorico del mercato della musica degli ultimi anni (e mettiamoci dentro anche una bella fetta della pubblicistica musicale).

Riprendiamo in mano quello che abbiamo sentito ‘con un orecchio solo’, spesso in momenti e circostanze inadatte. In tanti anni di ascolti ho imparato che l’esperienza musicale è una sorta di reazione chimica, in cui uno dei due elementi (la musica) è oggettivamente invariabile, mentre l’altro (noi, gli ascoltatori) è quanto mai volatile. Volatile è il nostro umore e la nostra emotività, instabile ed elusiva la memoria musicale: è immaginabile l’impatto di tutto cìò su una musica come il jazz, dove l’essenza è in dettagli che possono facilmente passare inosservati ad un primo ascolto, e dove forme e strutture sono dilatate sino alla dissoluzione.

Ed allora imbocchiamo ‘la direzione ostinata e contraria’, di cui cantava un poeta non laureato: accantoniamo la quantità, la seduttività di primo impatto (tanta musica è confezionata in funzione di questo), ed approfittiamo del vuoto di questi giorni per riempirlo con ascolti in profondità, meglio se un po’ informati: qualsiasi brano jazz è un groviglio di fili che, tirati uno alla volta, riveleranno collegamenti, influenze, parafrasi, fedeltà e secessioni che sono l’essenza di questa musica stratificata e derivativa. Ed è questa la strada che porta a nuove scoperte, stavolta ragionate e non casuali.

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Per far questo una volta erano disponibili sussidi librari validi, che il tempo trascorso e la problematica situazione attuale (“Librerie aperte? Sì, ma per trovarci dentro l’ultimo libro di Veltroni….”, osservava acutamente qualcuno giorni fa) rendono pressoché irraggiungibili. Ed allora rivolgiamoci al web, che offre una risorsa che io trovo molto interessante, il sito All Music (https://www.allmusic.com/). Partito come un database discografico avviato come attività no-profit da un milionario americano appassionato di musica, la sua copertura si è gradualmente espansa dall’attualità alla produzione discografica passata, ovviamente in funzione delle sue ristampe più o meno recenti. La sezione jazzistica (il cui pool di redattori sta sensibilmente crescendo rispetto agli anni scorsi) sta raggiungendo un livello di completezza ed articolazione paragonabile a quello della compianta “Penguin Guide to Jazz on CD…” di Cook & Morton, un ‘breviario’ discografico che nella nona ed ultima edizione superava le 1.700 pagine (le poche copie usate ancora in circolazione vengono offerte a prezzi d’affezione, bel complimento postumo ai due autori). Tra le sue molte funzionalità, questo portale offre la possibilità di fare ricerche per musicista, album ed anche titolo di brano.

Così appare la pagina dedicata ad un musicista, che dà accesso ad una scheda biografica, ed alla discografia riportata dal sito:

Questo invece è il format dedicato ad un album, quasi sempre corredato da recensione/presentazione curata da un redattore del sito (ma c’è la possibilità di inserire anche quelle dei lettori), dati storico/discografici, credits che riguardano sia la parte musicale, che quella tecnica e produttiva, elenco dei brani compresi ed altri dettegli che lascio a voi scoprire. Un bel filo d’Arianna, utile soprattutto per districarsi nelle piattaforme di streaming per capire cosa propongono con la loro intelligenza artificiale, o meglio ancora per intraprendere ricerche ragionate alla scoperta di singoli musicisti o stili.

Ma riascoltare non è solo concedere una seconda opportunità a musiche frettolosamente lasciate da parte sotto la pressione di incessanti flussi di novità, spesso più per data che per sostanza. E’ anche viaggiare nel tempo. Sensibile come un sismografo, molto del migliore jazz degli ultimi mesi, direi addirittura degli ultimi anni, ha presagito ed anticipato il clima plumbeo e soffocante che viviamo: in futuro questa sarà una testimonianza preziosa, una sintesi di emozioni e stati d’animo per cui oggi non abbiamo parole adeguate, a parte quelle superficiali e stereotipate dei media. Adesso abbiamo necessità di un raggio di luce, di un momento di bellezza che nella musica dell’oggi scarseggia non poco. Di qui la necessità di riandare ad epoche magari anch’esse dense di asprezze e criticità, ma in cui era viva un’apertura ed una tensione verso un futuro che si riusciva ancora ad immaginare e desiderare. E da questi spiragli i jazzmen dell’epoca hanno saputo trarre momenti di sottile e fragile bellezza, che ci parlano ancora – e molto – a tutt’oggi. Ad esempio, l’Impolitico che vi scrive il suo raggio di luce lo ha trovato qui:

Un trio magico ed irripetibile: un pianista che vola, uno dei batteristi più imprevedibili che il jazz abbia conosciuto, ed un bassista rivelatosi con il free e successivamente una presenza fantasmatica

2 Comments

  1. Da non musicista, da mero fruitore, condivido a pieno il concetto. Come in tante cose della vita è la rilettura a darci il piacere più profondo e duraturo. Ripercorrere all’indietro inolttre fa scoprire cose che esistevano prima di noi e che per noi sono realmente nuove.

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