Joe Farnsworth – Time To Swing

JOE FARNSWORTH – Time To Swing (Smoke Sessions)

I want to be a sideman / Just an ordinary sideman / A go along for the ride man / Responsibility free…”

L’acume di Dave Frishberg descriveva con passione ed ironia la figura del sideman in una canzone affidata a Rosemary Clooney tanti anni fa. Ed il sideman, a dispetto del nome, è assolutamente centrale nella storia del jazz, Joe Farnsworth ne è un esempio vivente, di grande valore.

Chissà in quante centinaia di concerti e incisioni il suo drumming veloce e preciso si è rivelato semplicemente perfetto per leader esigenti, hardbopper in cerca di rilancio, stelline emergenti, neoswingers di ritorno ecc. Dopo aver girato la boa dei 50 anni il nostro ci consegna un disco da leader per i tipi della Smoke Sessions e si concede il lusso di svilupparlo per metà in quartetto, con la tromba solista di un certo Wynton Marsalis, e per metà in trio, sempre con tal Kenny Barron al piano, oltre a Peter Washington, sommo bassista e fratello/sideman della stessa generazione.

Il disco è diviso esattamente a metà, a far da virtuale cambio di facciata troviamo sei minuti con Fanrsworth da solo con i suoi membranofoni ed un mito da omaggiare (“One for Jimmy Cobb”), recentemente scomparso. Ne esce un exploit virtuosistico dove il nostro si conferma come uno dei batteristi con più tecnica al mondo, un lungo assolo congegnato in forma di suite che ricorda da vicino alcune cose di Max Roach. La prima parte di “Time To Swing“, vede Wynton Marsalis diventare elegante sideman di uno dei suoi drummer preferiti, per il quale rispolvera la sordina e sforna jazz delizioso, per esempio in “Hesitation”, sornione brano old-style che Wynton propose già nel suo album d’esordio; riascoltandolo ora non si possono che notare le stratificazioni intervenute e le evoluzioni su uno stile trombettistico che continua semplicemente a dettare legge, con buona pace di certi tristi detrattori. Degno di menzione anche il godibile ed assai avanzato assolo di Barron.

Gli altri standard riletti in quartetto sono “Darn That Dream”, romantica “walking ballad” che i musicisti conoscono come le loro tasche e dimostrano di amare al punto che il brano sgorga fresco come acqua di fonte, e una “Down By The Riverside” che ci proietta dentro una chiesa di New Orleans, in sorridente preghiera innalzata da officianti ispirati, mentre l’original “The Good Sheperd” è una fitta conversazione blues a quattro voci, carica di soul feeling.

La parte in trio è forse più serrata, Kenny Barron viene invitato a spingere il combo sulle tracce di Monk (“Monk’s Dream”), si rallenta all’inverosimile per una versione heart-breaking della strayornhiana “The Star-Crossed Lovers” e poi lo show chiude i battenti con la divertente “Time Was”, già bazzicata da Coltrane, che conferma questo gruppo come una macchina da swing di Formula Uno, capace di sgasare via un po’ quando vuole, con allegra baldanza. “This whole record is happy” chiosa il collega Billy Hart, autore delle agili liner notes, una felicità che esce dalle casse dello stereo e che di questi tempi è assai preziosa, merce rara da proteggere e assaporare, investiti o nascosti dalla luce dello spotlight, non importa poi molto.

“I wanna be young / I wanna have fun / I want to be a sideman…” 

(Courtesy of Audioreview)

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