Enrico Pieranunzi & Bert Joris “Afterglow” (Challenge Records, 2021)
“A volte, il momento in cui non suoni aggiunge più significato alle cose che poi suoni.” Una chiosa di Enrico Pieranunzi, citata nel Comunicato Stampa che accompagna il disco. Il buon vecchio Miles diceva ancor più prosaicamente una cosa non molto lontana e che inquadra ancora meglio questo lavoro: “Anybody can play. The note is only 20 percent. The attitude of the motherf****r who plays it is 80 percent.”

Dopo i bagliori del giorno il cielo d’estate regala tinte inaudite. L’intero magistero di Pieranunzi emerge con nitore da questo “Afterglow”, un viaggio suadente, carico di silenzi e riflessioni sospese, condotto in duo e dipanato lungo undici episodi originali registrati due anni fa con il trombettista e flicornista belga Bert Joris, vecchia conoscenza del Nostro. Attitudini.
Cradle Song for Mattia – YouTube
L’arte del duo affascina da molti lustri il pianista romano che negli anni ’80 e ’90 collaborò con Chet Baker, Phil Woods, Lee Konitz, giusto per citare i più celebri, ed ha recentemente pubblicato un nuovo episodio con il bassista danese Fonnesbaeck, oltre ad avere imbastito, durante il lockdown, una serie di concerti online sempre in duo con la voce di Simona Severini, il sax di Rosario Giuliani e la chitarra di Stefano Cardi, sempre cercando nel partner di turno la maggior empatia possibile, cosi che anche il duo con Bert Joris non può che celebrare l’arte dell’incontro, della quale egli è in effetti sommo maestro. Volendo trovare dei riferimenti, oltre alla consueta ombra di Bill Evans che nonostante le dichiarazioni di Pieranunzi e la sua voglia di smarcarsene appare in dischi come questo un richiamo totalmente naturale, possiamo pensare a certi lavori firmati John Taylor / Kenny Wheeler, con i due che qui, dopo un avvio piuttosto anodino trovano comunque spunti originali, riuscendo a far convivere con naturalezza momenti di crepuscolare distensione (“Cradle Song For Mattia” / “Anne April Song”) con frammenti improvvisativi nervosi e comunque sempre carichi di un evidente pathos, come nell’episodio più intricato e libero, “Five Plus Five”.
Gli slanci melodici di Pieranunzi vengono letti all’impronta, ripresi e gestiti con grazia dal trombettista che si conferma strumentista intelligente e abile compositore, come dimostra nella sognante “How Could We Forget” in cui fa capolino il fantasma di Chet Baker, che tante volte si è appoggiato a quel pianoforte, o nella spigolosa ed improvvisata “Not Found” in cui i due aumentano i giri del motore trovando un buon climax complessivo.
Il finale è affidato a una traccia proveniente dal fecondo songbook di Pieranunzi, “The Real You”, un bozzetto lirico che ci riporta in una dimensione malinconica, una piccola e struggente poesia per amanti che suggella un disco/antidoto al canonico logorìo della vita moderna.
(Courtesy of AudioReview)

Grande!!!
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“A volte, il momento in cui non suoni aggiunge più significato alle cose che poi suoni.” Aurea massima che si intestano in molti. Quanto a metterla in pratica….., beh, è un altro discorso ;-). Milton56
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