Le radici in viaggio di JD Allen – “Americana Vol.2”

JD ALLEN – Americana Vol.2 (Savant) Supporti disponibili: CD

Da tempo immemore si dice che nel jazz saremmo in perenne attesa di nuove figure messianiche, in grado d’indicare la Via. Se si volesse stare al gioco e prendere per buono questo assunto ormai parecchio incrostato varrebbe la pena di aprire una bella parentesi graffa. Ed in quella parentesi annotare alcuni nomi. Toccasse a chi scrive credo che in primis farei quello del sassofonista 50enne JD Allen, da Detroit. Non dico che sia lui il Messia che anche inconsciamente in molti aspettano, ma di certo questo disco, che chiude un trittico dalla potenza inaudita, alza ancora una volta il livello della sua proposta e lo conferma in un range qualitativo altissimo.

L’eloquio strumentale, eminentemente blues, pare attingere ora a zone spirituali rarefatte e toccate dalla grazia, il suo esporsi politicamente e socialmente è sempre più nitido e coinvolgente dal punto di vista intellettuale. Gli episodi storici utilizzati da JD, i libri e le pubblicazioni che c’invita a riscoprire, tendono a gettare luce su zone oscure, neglette, profondamente dimenticate della storia d’America. Del resto, lontano dal palco, JD Allen è molto attivo, possiede forza e moderazione intellettuale che evidenza in ogni intervista o dichiarazione pubblica, ed è peraltro un socio fondatore di We Insist!, una comunità d’azione jazz legata al Black Liberation movement, che v’invitiamo caldamente a visitare.

Tornando alla musica, con questo “Vol.2” si parte dal Blues (“Up South”, il nomignolo di Detroit) e si arriva al Blues (“Down South”, che sta per Mississippi) in tredici tracce intense, pulsanti, di cui tre con il trio già protagonista di eccellenti incisioni (Rudy Royston, batteria e Gregg August, basso) ed otto in cui si aggiunge la chitarra di Charlie Hunter, artista eccellente che da molti anni ha posto in essere una ricognizione su materiali tematici non dissimili, una new entry infatti voluta fortemente dal leader, che nelle liner notes chiosa: “When Charlie plays the blues, I believe him”.

Le ispirazioni di questo Americana Vol.2 sono reali, tangibili, c’è la grande storia che s’interseca con quella personale, come nella foto stropicciata in copertina, come nel viaggio da Missisippi a Detroit del bisnonno di JD Allen, il Rev. Eugene Ross e della sua “Irene (Mother)”, e poi c’è “Hammer and Hoe” (Martello & Zappa) ispirato dall’omonimo libro che narra della dimenticata, o forse rimossa, storia dei marxisti neri americani dell’Alabama durante gli anni della Grande Depressione e del ruolo del Partito Comunista nelle lotte razziali del periodo.

Non fa sconti JD Allen, sceglie un commovente standard di Ray Charles, “You Don’t Know Me”, con il sax tenore che ci ricorda il miglior Gene Ammons, ma poi in “The Battle Of Blair Mountain” ci obbliga ad una lezione di storia, e si respira l’aria acre delle miniere in tumulto nel 1921, si respira in tutto il disco un Blues che fa trasalire per autenticità e che riesce a parlare anche ai nostri tempi lividi, a “questo mondo ch’è un mondo meschino”. (Courtesy of Audioreview)

9 Comments

  1. Per una volta tanto, sbilanciamoci con qualche indicazione discografica, lo snobbato JD Allen si merita una spinta in più. Il sito internet della Savant (eccellente etichetta) è questo:
    http://www.jazzdepot.com/
    Loro sono molto ‘straight ahead’ e ‘no frills’, non mi sembra di vedere un’edizione LP, ma ti assicuro che i loro CD sono di alta qualità sonora. Il disco è bistrattato dalla distribuzione italiana, al momento l’unico canale di grande distribuzione su cui è reperibile è quello del Big Brother Bezos, purtroppo….Milton56

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  2. Il nome non mi era nuovo. Ne avevo sentito parlare e conoscenze internettiane americane ne avevano decantato le lodi. Certo, apprendere che è attivo dal 1999, e conoscerlo così sommariamente è senz’altro una mia colpa e un po’ anche la conferma della marginalità del jazz contemporaneo qui da noi.
    La pagina wikipedia è povera d’informazioni, ma vanta una copiosa discografia cui attingere per succosi approfondimenti. Vederlo a qualche festival in Italia? Forse solo in Emilia Romagna e a Milano, almeno qui al nord, può essere realizzabile.
    Bene il richiamo alle “roots” afroamericane nel senso più profondo coinvolgendo la storia; bel timbro con profumi gordoniani e personalità da vendere. Hunter è una garanzia anche per la sua estraneità al virtuosimo strappa applausi che talvolta affligge i chitarristi (e lo dico con benevolenza),

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