RICHIE BEIRACH “Inborn” (Jazzline/IRD)
“Tracce Perdute” è un’ idea vagamente romantica che avevamo coltivato in redazione all’inizio della “prima repubblica” di TdJ, qualche lustro or sono. La rubrica, soppressa causa totale disinteresse dei nostri lettori dal cuore indurito, voleva essere una sorta di recupero dal sottoscala polveroso di dischi amati ma per mille motivi finiti lontano dai riflettori della discografia ufficiale, un modo per tornare a parlare di musicisti finiti in un cono d’ombra, quando non completamente dimenticati. Nel tempo quei vecchi cd/lp continuano a prendere ancora più polvere vista l’impetuosa avanzata della musica liquida, online 24/24 ecc. ma i nostri lettori laser, le nostre puntine hanno sempre sete di buona musica, e allora ogni tanto teniamoli esercitati, facciamo girare i nostri dischi, è la nostra storia che gira insieme a loro, in un certo modo.
A parte questi fervorini di circostanza qui ci ritroviamo per le mani un dischetto uscito nel 2017 che ri-documenta un’incisione di una ventina d’anni prima, assemblandola in un doppio cd per metà in studio e per metà dal vivo. Correvano gli anni ‘80 che, anche in ambito jazzistico, stanno godendo di un certo sotterraneo recupero (ne abbiamo recentemente parlato a proposito di Sal Nistico). Non stiamo effettivamente parlando di un decennio fondamentale per la storia della nostra musica, eppure a guardare quegli anni, quel climax e quella scena, decantata da certi eccessi di sovra e post produzione, ci si imbatte in una messe di lavori eccellenti, come per l’appunto questo Inborn del 1989 (che si rese disponibile per un breve periodo anche in sontuosa versione LP 180 gr.), disco che sciorina una line-up scomponibile dal duo al quintetto con Scofield, Mraz, Nussbaum, Randy e Michael Brecker agli ordini del pianista Richie Beirach, all’epoca 42enne e pressochè di casa nei leggendari Clinton Recording Studios di NYC.

Va detto per onestà ciò che nelle corpose note, scritte di pugno dal leader, si omette, ovvero che tutto il materiale proposto nel CD “Studio” era già stato edito per Triloka nel 1989 in un cd che potete cercare negli scaffali sotto il titolo di “Some Other Time: a Tribute to Chet Baker” probabilmente il primo omaggio al trombettista dell’Oklahoma morto pochi mesi prima dell’incisione che contiene celebri temi “bakeriani” accanto a composizioni di Beirach suonate (raramente) da Chet, tra cui la più celebre è l’eloquente “Broken Wing”.

Disco intimista e sinceramente commosso, con Richie Beirach che pesca dal suo profondo bagaglio tecnico e fornisce una prova eccellente in cui dà il meglio di sè nei pezzi in trio e nell’intenso duetto “Inborn” con un geniale e delicatissimo Michael Brecker. Quest’ultimo è un sassofonista che ha segnato come nessun altro l’epoca in questione e che purtroppo è stato un po’ frettolosamente archiviato criticamente sotto la voce “muscolare” come se la sua mostruosa tecnica fosse in qualche modo fine a se’ stessa e non a servizio della musica. Basterebbe ascoltare l’altro duetto sax/pianoforte in scaletta, “Sunday Song“, per capire quanto cuore metteva Brecker nei suoi robusti chorus, di rara perfezione.
La playlist pesca “In Your Own Sweet Way” dal songbook di Brubeck, autore tenuto sempre in alta considerazione da Beirach, e non trascura “My Funny Valentine”, oltre ovviamente a “Some Other Time” che come detto diede il titolo al cd “originale”.
La notte successiva, ovvero il 18 aprile ‘89, lo stesso gruppo festeggia l’incisione con un concerto, questo materiale forma la registrazione contenuta nel secondo CD “Live”, giustappunto: un selezionato pubblico di amici, amici di amici e imbucati newyorkesi assistono così ad un concerto inedito che presenta gran parte dello stesso materiale inciso il giorno prima accanto a standards da battaglia come “Con Alma” (in quartetto, con l’esplosivo Randy sugli scudi, in avanzati territori gillespiani), “You Don’t know what love is” o nell’up-tempo “Alone Together”, mentre Michael Brecker si fa vivo solo nei pezzi in duo di cui sopra. Minima ma significativa la presenza di John Scofield che s’apprezza in una traccia in quintetto, “Paradox“, una sorta di chase d’assoli con Randy Brecker portata a capo con grande divertimento.
Questo spumeggiante secondo volume “Live” a nostro avviso coglie in pieno quello che erano gli anni ’80 in ambito Jazz, una super-band nel pieno delle proprie forze che curiosamente non suona mai insieme nel doppio disco, piuttosto strano e incomprensibile oggi, anche perchè dispone di fuoriclasse (Brecker Bros, Scofield) al proprio picco creativo, jazzmen rilassati e in totale controllo che s’immergono quasi separatamente in una session più complessa di quanto appare e che il pianista leader conduce comunque assai bene, rivelando un’importante scorcio della propria poesia.
La scena newyorkese dell’epoca viene inquadrata dal pianista nelle liner notes “Era prima che tutti cercassero ogni cosa nel proprio smartphone. C’erano computer, certo, ma non avevano un ruolo così dominante nella vita di tutti. Le persone si parlavano una con l’altra, ci s’incontrava nei bar, si usciva per ascoltare musica, ed a New York c’era gente nei club il martedi, il mercoledi, il giovedi, e ovviamente nei weekend….”
In caso di ritrovamento dei succitati cd (o dei più difficilmente reperibili LP) su qualche bancarella/scaffale fisico o virtuale crediamo valgano di certo una valutazione d’acquisto, anche in caso di possesso del primo disco originale in studio (e in ogni caso Spotify si fa beffa del nostro cotè nostalgico, spazzando la questione e proponendo l’album completo sulla propria piattaforma, solo con una curiosa inversione dei due set).
Non conosco questo album ma dal cuore che hai messo nel raccontarlo si deduce che deve essere estremamente interessante. Del resto, come dici tu, quelli erano all’apice della creatività in quegli anni e Michael Brecker era veramente geniale.
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