Cartoline – Artacts ’24

È ritornato anche quest’anno il consueto appuntamento con artacts, Festival for jazz and improvised music, per la sua 24esima edizione, dal 7 al 10 marzo scorsi, negli spazi della “Alte Gerberei” a St. Johann, nel Tirolo austriaco: e come di consueto, questa piccola maratona musicale che si snoda nell’arco di tre giornate non manca di stupire, riservare sorprese ed entusiasmare, tra attenzione alle nuove leve e ai veterani di questa musica, amati più che mai, senza dimenticare artisti che sono all’apice della loro percorso creativo, e senza mancare di rendere omaggio a chi, pur avendoci ormai lasciati, continua a rimanere un modello di creatività e ricerca.

È il caso del percussionista e sperimentatore del suono Peter Hollinger, figura storica del jazz d’avanguardia tedesco scomparso pochi anni fa, a cui era dedicato il concerto d’apertura del festival, venerdì 8 marzo: omaggio all’insegna del ritmo in un avvincente e ipnotico intreccio di sfaccettature temporali, dinamiche e timbriche, messo in atto per volontà di artacts dai tre batteristi e percussionisti Christian Marien, Els Vandeweyer e Steve Heather, in interazione con “l’albero del suono”, una struttura approntata con materiali percussivi eterogenei da Hollinger nel 2007 per Poschiavo e artacts, e qui rimasta per sua volontà, per essere restituita finalmente al pubblico in un concerto da tempo atteso, a ricordare con affetto uno dei grandi maestri del ritmo.

xxxx

(Christian Marien, Els Vandeweyer e Steve Heather)

Un altro grande maestro del ritmo, Günther “Baby” Sommer, lo si è potuto invece ascoltare nella seconda serata festivaliera, in una veste tanto virtuosa quanto irriverente, a lanciare scanzonate sfide ritmiche ad un ulteriore gigante del jazz europeo, Barry Guy, come pure al pianista germanico Oliver Schwerdt, titolare del trio – un trio che, dopo il debutto con il doppio “One for My Baby and One More for the Bass” (Euphorium, 2020), ha attinto qui al nuovo lavoro “Fucking Ballads” (Euphorium, 2024). Concerto divertente quanto solido, che àncora una volta di più artacts ad una tradizione – come la intendiamo noi – che sa guardare avanti senza dimenticare le proprie radici, ed è un gran bel sentire.

Terzo grande maestro ad artacts ‘24, John Butcher ai sax tenore e soprano, qui esibitosi in quartetto con Sophie Agnel al piano, Pascal Niggenkemper al contrabbasso e Ståle Liavik Solberg alla batteria: un quartetto formatosi un paio d’anni fa, ma che poggia su collaborazioni di lunga data tra i vari musicisti, in un’intesa che emerge meravigliosamente anche in questo contesto. Tanto nella costruzione organica di un sound collettivo che di volta in volta cresce, denso, per poi diventare più rarefatto, tanto nell’apporto dialogico dei singoli, che sanno intessere un prezioso sottotesto o indicare la strada da seguire: e anche questo di nuovo ci ricorda come l’improvvisazione radicale sappia coinvolgere nel suo essere acre, urgente, politica, ma anche nel suo farsi a tratti sinuosa e riflessiva, e soprattutto senza mai diventare di maniera.

(John Butcher, Sophie Agnel, Pascal Niggenkemper, Ståle Liavik Solberg)

Ma artacts è sempre anche un’occasione per conoscere giovani musicisti dell’area austriaca e germanica che difficilmente riusciremmo a intercettare in Italia, e che sono il segno tangibile della vitalità della musica improvvisata nei paesi al di là del Brennero: tra questi, il trombettista viennese Alex Kranabetter, protagonista a St. Johnan di un concerto nel duo Drank con la pianista, concittadina, Ingrid Schmoliner – set di decisa ricerca sonora, con ampio uso dell’elettronica e atmosfere ipnotico-meditative – e di una commissione dello stesso festival, in un nuovo organico a sei (“The slow motion encounter”), dove ancor più si è caratterizzata la cifra stilistica di Kranabetter seguito dai suoi sodali austriaci e svizzeri, tra atmosfere scure e rarefatto lirismo, pulsazioni elettroniche e dilatazione sonora.

Ingrid Schmoliner, dal canto suo, è stata protagonista di un suggestivo concerto per organo nella principale chiesa di St. Johann (“I Am Animal”), mentre non sono mancati all’interno del festival ulteriori sguardi su quanto le musiciste abbiano da dare alla musica improvvisata e sperimentale: con il duo australiano-tedesco della vocalist Casey Moir, ora di stanza in Svezia, e la violoncellista di formazione classica, ma ben presto virata sulla contemporanea Elisabeth Coudoux, e ancor più nel quartetto capitatano dalla giovane sassofonista argentina Camila Nebbia, con la fisarmonicista newyorchese Andrea Parkins (entrambe attualmente a Berlino), la vocalist svedese Barbara Togander e la violista Johanna Mattrey, di nuovo dalla grande mela. Un nuovo quartetto alla sua seconda performance pubblica, ma che ha dato ottima prova di sé, muovendosi con coesione tra una varietà di chiaroscuri e di piani sonori, dissonanze e improvvisazione radicale, contemporanea, effetti mai fini a sé stessi, e in cui emergono in particolare il lavoro sul suono di Parkins e la convincente veemenza di di Nebbia.

(Camila Nebbia, Johanna Mattrey)

Di impatto anche il set pomeridiano dell’alto-sassofonista di origini libanesi Christine Abdelnour e del chitarrista britannico Andy Moor, già membro dei The Ex, in un connubio di lunga data di improvvisazione totale, tra echi e ripetizioni, comunanza di gesti espressivi, ritmi irregolari e sferzanti della chitarra e sperimentazione sonica di Abdelnour. La stessa Christine Abdelnour, del resto, l’abbiamo ritrovata, nella serata conclusiva del festival, nella Milesdavidquintetorchestra, formazione nata inizialmente come trio in Francia (Xavier Camarasa piano, Valentin Ceccaldi violoncello, Sylvain Darrifourcq percussioni) ed ora ampliata a sestetto, con la fisarmonica di Emilie Skrijelj, i clarinetti di Michael Thieke e il sax di Abdelnour… gioco di incastri tra cellule sonore ripetute che si rincorrono l’un l’altra di strumento in strumento, tempi veloci ma anche espansi, e riuscito amalgama tra ricerca individuale e dialogo collettivo.

Come si accennava prima, artacts non manca mai di mostrare artisti al culmine del loro percorso creativo, di cui seguire con attenzione i percorsi: musicisti come Dave Rempis ai sassofoni, Paal Nilssen-Love (batteria) e Fred Lonberg-Holm (violoncello), con Ballister, un trio che ha all’attivo una decina di album, e che a St. Johann ci ha fatto particolarmente apprezzare il sound free, e a tratti stupendamente caldo e melodico di Rempis, come pure l’uso non idiomatico del violoncello elettrificato di Lonberg-Holm. Energia propulsiva, ritmi tirati, suoni duri, spaesamenti, ma anche groove e lirismo, amalgamati in un percorso organico da un gruppo di massima coesione. A chiudere il cerchio, nel concerto di chiusura del festival domenica sera, il trio The Attic di Rodrigo Amado, con il connazionale Gonçalo Almeida al contrabbasso e l’olandese Onno Govaert alla batteria, e anche qui la musica – narrazione collettiva che si sviluppa sapientemente, e in cui i tre sodali si stimolano a vicenda nel costruire tensione e distensione, sound propulsivo ma anche spazio e l’insinuarsi di fragili e calde linee melodiche – è ai massimi livelli.

(The Attic)

Un’edizione di artacts, questa, che ci ha permesso ancora una volta di sentirci a casa ma anche di avventurarci su strade e tipi di fruizione musicale inusitati – dall’imponente sound elettronico dei Radian, trio viennese di sperimentatori del suono in area post-rock/tecno-dub, alle sessioni pomeridiane per un solo ascoltatore di diversi musicisti del festival, in una cabina nella piazza del paese, senza dimenticare il consueto appuntamento con una mostra fotografica, quest’anno ad opera di Dawid Laskowski, collaboratore di lunga data del Café Oto di Londra. E dunque, appuntamento al 2025, per festeggiare il quarto di secolo di artacts, festival for jazz and improvised music!

(Fotografie di Dawid Laskowski)

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.