Avvertenza preliminare: questo è un piccolo pezzo scritto di getto, sull’onda dell’articolo antologico del collega Rob dedicato al problema della sopravvivenza del nostro jazz alla surreale situazione in cui ci troviamo, Molte cose sono dette d’impeto e ‘fuori dai denti’, ma va detto che il malumore da cui nascono cova da ben prima dell’era Cov19. Il quale ha semplicemente ‘finito il lavoro’, come in altri campi del resto.
Siamo chiari e realisti: ci aspettano mesi di vita al rallentatore in mondo di libertà vigilata, in cui le uniche larvali manifestazioni di vita sociale saranno quelle legate ad un lavoro a singhiozzzo che invaderà pervasivamente ogni spazio di vita vigile ed un consumo che, oltre a soddisfare elementari esigenze di sussistenza, diventerà una specie di dovere patriottico a prescindere. Non è un caso che l’apparato pubblicitario si sia immediatamente impadronito del virus come testimonial indiretto, e per di più con tempismo ed efficienza che si sarebbero voluti vedere altrove. Quando si dice il buon gusto e la sensibilità…
In questo inquietante paesaggio orwelliano degno delle più visionarie distopie degli ultimi anni, sarebbe fondamentale poter schiudere degli spazi di immaginazione e di futuro, soprattutto se si vuole veramente che appaia un ‘Mondo Nuovo del Dopo’, come da molti parti auspicato (forse solo retoricamente). E’ naturale che in una simile situazione cultura ed arti sarebbero più che mai necessarie, e la loro accessibilità anzi dovrebbe esser addirittura radicalmente ripensata rispetto alle carenti modalità passate.
Invece così non sarà, soprattutto per quanto riguarda le forme di creatività che non possono prescindere da momenti di fruizione collettiva: il teatro, il cinema (quello che non si misura in pollici, quello che fa sognare ad occhi aperti tutti insieme), ed infine la musica, specie la nostra, che del fluido che corre da palco a platea (e viceversa) non può assolutamente fare a meno.
Devo esser molto chiaro su di un punto: il fiorire di microconcerti casalinghi diffusi artigianalmente via web è stata una bella testimonianze simbolica di sopravvivenza e resistenza, un pò come le canzoni collettive dai balconi dei primi giorni. Ma ben poco ha a che vedere con una ripresa sia pur minima e sacrificata di creazione musicale. Per tacere dell’assoluta irrilevanza ai fini dei drammatici problemi di sopravvivenza di tanti musicisti ed addetti al settore, nella quasi totalità dei freelance privi di ogni tutela e sostegno: a questo riguardo sottoscrivo in pieno l’esortazione del collega Rob soprattutto ad acquistare album in download ed in subordine a fare suonare in streaming i brani dei propri musicisti preferiti anche come sottofondo (meglio di tanta altra roba che ci assedia dall’etere oggi). Saranno nichelini, ma sono nichelini che oggi possono fare una grande differenza.
Avevo ingenuamente sperato che dal cilindro del Grande Prestigiatore Informatico potesse uscire qualche strumento che consentisse in qualche modo ai musicisti di interagire tra di loro sia pure in una dimensione virtuale e magari addirittura con una certa interazione con un pubblico anche limitato. Non sembra che ci siano tempo e risorse per questo, troppi gadget non richiesti (e spesso molesti) premono alle porte. Per tacer d’altro, che non si sa se definire velleitario o sinistro.
Quindi, e come di consueto, il jazz nostrano deve arrabbattarsi a cercare uno spazio di sopravvivenza purchessia, come giustamente titola l’amico Rob. Anche perchè gli anni che hanno preceduto questa grande piaga sono stati tutt’altro che di ‘Belle Epoque’: il nostro circuito musicale non si è mai significativamente ripreso dall’urto della crisi del 2009/2010, e pesanti condizionamenti e ristrettezze economiche ed organizzative sono arrivate a deformare profondamente e durevolmente l’elaborazione creativa e soprattutto hanno assestato colpi pressocchè letali alla relazione con un pubblico, in alcuni casi vistosamente disperso e scoraggiato.
Non sono un tecnico, ma nutro vaste perplessità circa la funzionalità di un medium come Facebook per la gestione di concerti che abbiano qualche pretesa di pulizia tecnica e soprattutto una certa ampiezza di accesso da parte di un pubblico non minuscolo. Per tacere del fatto che se si volesse determinare una qualche forma di doveroso ritorno economico per musicisti ed organizzatori credo sorgerebbero problemi pressocchè insormontabili. Perché, ripetiamolo, non è questione di metter in piedi iniziative benefiche, ma quella di cercare di far sopravvivere a circostanze terribili una musica fragile e randagia, ed altresì orfana anche di minime tutele istituzionali di cui altri possono godere.
E’ vero che all’estero da tempo sono in corso esperimenti incentrati sulla creazione di jazz club virtuali che diffondono i loro concerti sul web con piattaforme proprie e specifiche, ma sono cose che richiedono investimenti tecnici che non si improvvisano e soprattutto risorse che la sparuta pattuglia dei nostri club non è in grado di metter in campo, specie dopo una devastante fermata come quella tuttora in corso. Bisogna solo sperare nella miracolosa apparizione di qualche mecenate disinteressato, ma stento a vederlo nell’Italia affluente in cui il ‘cafonal’ è diventato un credo estetico.
Se poi si passa alle possibili prospettive dei festival (che rappresentano nel bene o nel male il principale canale di fruizione del jazz in Italia) la situazione si fa ancora più problematica: del tutto utopico ed illusorio conciliare le stringenti misure di distanziamento sociale che vengono annunziate per il c.d. ‘dopo’ con una partecipazione più che simbolica ed in grado di assicurare una parvenza di equilibrio economico alle manifestazioni. C’è poi il problema dei trasporti, che a lungo regrediranno ad un livello di funzionamento minimale e con costi e disponibilità del tutto ristrette, che renderanno proibitivo l’afflusso degli stessi musicisti non locali (di quelli stranieri non è nemmeno il caso di parlare). Apro una piccola parentesi: “la Cultura non si mangia”, come sentenziava un poco rimpianto Padre della Patria di qualche tempo fa? Quest’estate provate ad andarlo a chiedere a Perugia, a Pescara, a Fano ed in centinaia di altre città d’arte ed a vocazione turistica…….
Ma tutto questo arrovellarsi su problemi ardui finisce per ruotare intorno ad un centro vuoto di assordante silenzio: ma Tv e Radio che fanno? Forse non sono ancora state inventate? Lasciamo perdere le centinaia di canali commerciali, l’uno clone dell’altro senza una qualsiasi significativa differenziazione di offerta… La Tv commerciale è un panino fatto di pubblicità, dove i ‘contenuti’ sono l’impalpabile fetta di prosciutto che serve a far digerire la pagnotta.
Concentriamoci sul ‘servizio pubblico’ di RAI. Naturalmente, ci vuole una buona dose di immaginazione per distinguerlo dai concorrenti, tanta è la pubblicità che lo affolla. Ma come ricordava Riccardo Fassi, se non sbaglio, ci sono canali come Rai 5, o Rai Storia, la cui ragion d’essere non dovrebbe esser quella di diventare principalmente spugne pubblicitarie. Va detto che questi canali sin dalla loro creazione languono non poco in una ripetitività seriale fatta prevalentemente di riproposizione a circuito chiuso di contenuti acquistati da terzi, ed in genere alquanto datati. Il nostro ‘Servizio Pubblico’ ha perso l’allenamento a spostarsi sul campo ed a produrre temibili colossal come la ripresa di un concerto dal vivo in studio? Non si trova più la chiave dello storico auditorium radiofonico di Via Asiago? L’ultimo jazzman di cui si serbi memoria a Saxa Rubra è l’Armstrong di Sanremo ’68?
Non c’è problema. I vari Festival sono in grado di produrre e consegnare ‘chiavi in mano’ a Rai proposte concertistiche selezionate e sperimentate, che offrano occasioni di lavoro e visibilità ai molti musicisti e formazioni italiane. Se si gestiscono ‘in sicurezza’ pletoriche conferenze stampa ministeriali, omelie commissariali, reality a base di controversie scientifiche con tanto di anatemi e scomuniche in diretta, ci sarà anche modo di fornire semplicemente una decorosa e professionale regia audio e video per produzioni musicali fornite pronte per il consumo da gente che se ne occupa professionalmente da decenni, riempiendo piazze ed arene con budget che è nell’ordine dei millesimi degli ingaggi di noti anchor man (l’ancora è quella che li lega alla poltrona) e wonder woman al botox che occupano il prime time…. A proposito, nessuno pretende di insidiare questo sancta sanctorum, ci si accontenta anche di orari cospirativi, tipo le prime luci dell’alba o la notte più profonda, basta rendere disponibile il tutto su quel mirabile strumento di Tv differita e personalizzata che è RaiPlay (prima però reclutiamo qualche esperto hacker che riesca a farlo funzionare a casa degli utenti…), magari pubblicizzando anche i passaggi televisivi (anche a costo di farcire il trailer con lo spot di qualche detersivo…. meglio però qualche vino o liquore, l’accoppiamento funziona meglio, i relativi inserzionisti sarebbero sensibili..).
Ci si accaparrerebbe, e fidelizzandola pure, una nicchia di pubblico trascurata dalla concorrenza, una bottarella all’Auditel che può anche far passare in seconda linea una tassa coatta su qualsiasi oggetto proietti una qualsivoglia immagine, riscossa via contatore imitando analoga soluzione mutuata dalla Grecia della crisi più nera.
Diversamente, almeno per me, per il mitologico ‘Servizio Pubblico’ andrà in onda questo, e per l’ultima volta…….. Milton56
Allora mi addentrerò con cura…🤗
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